martedì 20 dicembre 2016

VITA DI PAESE: ANDIAMO A SCUOLA IN ITALIA

Quest’anno, dato che eravamo in Italia già il 10 dicembre, mi sono fatta venire una splendida idea: perché non far partecipare i bimbi alla scuola in Italia come uditori?




Tre settimane di vacanza. Tre lunghe settimane di vacanza. La scuola internazionale che frequentano i miei figli chiude i battenti presto e io ho calcato la mano, partendo perfino un paio di giorni prima. 

Allora, un bel giorno di novembre, mi è venuta una splendida idea: perché non far partecipare i miei figli alla scuola italiana come uditori, quest’anno che avrebbero avuto l’opportunità di frequentare per quasi due settimane piene?

Un paio di telefonate fatte fare dai parenti, un paio di email scambiate con la segreteria, ed eccoci, la mattina di lunedì 12 dicembre, di fronte alla scuola del paese.

Entro nel portone.

“Signora che fa? La scuola inizia alle 8.30 non può entrare!” la bidella è in agguato.

“Oh… ehm… ho appuntamento con la signora della segreteria… dovrei iscrivere…” cerco di spiegare tutta la pappardella.

“Ah, adesso vedo. Ma guardi che oggi c’è sciopero!”

“Sciopero???”

“Sì, può essere che non ci sia scuola.”

“Mamma, cos’è uno sciopero? Perché non c’è scuola?”

E io a spiegare ai miei figli che sciopero vuol dire che non ti va bene qualcosa e allora, per protestare, non lavori. 

Per farla breve, riesco a compilare il modulo di iscrizione. E per fortuna quel giorno nessuno dei maestri protesta, sono tutti a scuola. Così saluto i miei figli e li guardo andar via coi nuovi maestri, emozionata come se fosse il primo giorno di scuola. Sono corsa a comprare un astuccio, una matita ed un quaderno da portar loro al volo (non ridete… io sono extracomunitaria e non sapevo servissero… alla scuola internazionale gli danno tutto a scuola)  ed ho passato la giornata in ansia: si troveranno bene? Si faranno capire? Si comporteranno bene?

Sono andata a prenderli nel pomeriggio (la scuola del paese è una delle poche nel circondario che fa orario lungo… proprio come in Cina!) ed erano contenti ed entusiasti! E il giorno dopo sono tornati a scuola con la stessa allegra. I maestri li stanno coinvolgendo, fanno fare loro più o meno le stesse cose che fanno gli altri (compiti compresi) e i miei figli sono felici di fare amicizia coi bimbi italiani. Stanno anche imparando le canzoni natalizie che canteranno giovedì, l’ultimo giorno di scuola.

E sapete qual’è la cosa della quale sono più entusiasti? La mensa! La mamma alla quale l'ho raccontato si è messa a ridere (ovviamente la mensa è una delle cose per le quali i genitori si lamentano di più!). Cosa non fa il cibo italiano! 

Insomma, se vi capita, fatelo! Se siete espatriati ed avete l’occasione di far fare ai vostri figli un periodo di scuola in Italia, approfittatene! Confesso che alcune amiche expat che avevano già fatto l’esperienza me l’avevano sconsigliata (“si annoieranno da morire!” dicevano) ma non per tutti è uguale e per fortuna nel mio caso si sta rivelando un’avventura bellissima.

E io mi godo un paio di settimane di vita da paese: porto i bimbi a scuola, faccio quattro chiacchiere con le mamme (che sono le stesse che conoscevo al nido, pensate un po’!), faccio un po’ di spesa, chiacchiero con la vicina, porto il piccolo DongSheng a fare una passeggiata per fargli fare il riposino, mi riprendo i figli a scuola.

“Ti piace perché è una cosa temporanea!” mi ha detto un mio amico “Ma qui nel profondo nord est la vita è provinciale… non c’è nulla da fare, nulla di nuovo, tutto statico.”

Sì… forse me la sto godendo perché è temporanea, perché sembra una specie di reality show e so che tra poco tornerò tra le mille luci di Suzhou. Però vi devo dire che fa bene al cuore!

Buon Natale a tutti!






mercoledì 16 novembre 2016

ASILO NIDO NO PROBLEM

Il piccolo Dong Sheng ha già soffiato la sua prima candelina e il tempo sembra esser davvero volato.



Già più di un anno è passato da quando mi trovavo al Kowloon Hospital, reduce da un taglio cesareo e con un piccolo essere che dormiva accanto a me nella culletta.

Adesso cammina, dice “mamma”, vuole mangiar da solo con la forchettina (ma erano uguali anche i primi due o è prerogativa dei terzi figli essere così precoci?). Ed è diventato molto più impegnativo rispetto a mesi fa, nei quali si faceva lunghe dormite e mi permetteva agevolmente di dedicarmi al mio lavoro di scrittrice.

Il poco tempo che mi rimane lo dedico tutto alla traduzione in inglese del mio libro: non potendomi permettere un traduttore  professionista mi sono arrangiata con Mr. Google ed il prezioso aiuto di un’amica che ha reso più leggibile l’orrida traduzione automatica, darò da fare ad una brava professionista solo l’editing. 
La ricopiatura delle correzioni e gli incontri con l’amica per lavorare sul testo sono un lavoro che mi porta via parecchio tempo. Cerco di ritagliarmi dei momenti liberi come posso: faccio uscire il bimbo una mezz’oretta con l’ayi a passeggio, oppure esco io per un’oretta e mi metto a lavorare in qualche caffè (alle volte perfino ai tavoli del Family mart!). Il bello è che qua in Cina nessuno ti dice niente se compri un cappuccino e stai seduto per quattro ore al tavolo, anzi è una pratica comune: ci sono perfino le prese per attaccare il laptop in caso la batteria si esaurisse e c’è il WI FI gratuito!

Sfrutto poi tutti i momenti in cui dorme. E quando il Papi Viaggiante è via, la sera mi incollo al PC per lavorare. Non faccio altro (e ne risente anche questo mio povero blog!). Mi vien quasi da dire che non ne posso più!

Ho poi messo in atto un’altra tattica per ritagliarmi qualche ora di fila di lavoro: una volta a settimana lo porto in un piccolo asilo sotto casa! E’ una struttura che accoglie bambini dai 6 mesi ai tre anni e quindi lo potremmo proprio definire un nido. Mi è stato consigliato da una mia amica che ci ha iscritto entrambi i bambini e quindi, da brava cinese come sto diventando, mi sono fidata.

Convinta e felice, la prima mattina l’ho portato lì, accompagnata dall’amica.
“Buongiorno maestre, oggi all’asilo viene anche un amichetto!” ha detto lei. Le maestre mi hanno preso Dong Shang dalle braccia, mi hanno solo chiesto come si chiamasse e poi, senza fare una piega, l’hanno portato a giocare.
Io: “Ah… volete il mio telefono?”
Loro: “Beh… sì… fammi scannerizzare il tuo codice QR di WeChat”
Io: “Mh… lo vengo a prendere alle 12”
Loro: “Non c’è problema!”

Ecco. Macché moduli, libretto di vaccinazioni, inserimento che dura secoli… dammi qua il bimbo e vattene. E così ho fatto, perplessa ma contenta.

Dopo circa una ventina di minuti sul mio WeChat sono incominciati ad arrivare i video: il piccolo Dong Sheng  sereno mentre stava con la maestra, giocava, mangiava un biscotto. Ero tranquilla. E mi sono goduta tre ore di lavoro senza interruzioni. 

Essendo stata positiva, l'esperienza si è ripetuta un paio di volte. Tutto bene, cercando di non pensare troppo che in Cina ai bambini piccoli danno da mangiare gamberetti e funghi senza porsi alcun problema.


Incredibile ma vero, nonostante il tempo libero somministrato col contagocce, il lavoro sta procedendo e l’edizione in inglese di “Prezzemolo & Cilantro” non sembra più un miraggio. E’ proprio vero che se davvero si vuole realizzare qualcosa non c’è ostacolo che tenga! 

mercoledì 21 settembre 2016

VITA DA COMPOUND

Dicesi compound un agglomerato di palazzi, enorme condominio di solito recintato e sorvegliato da guardie, nei quali vive la stragrande maggioranza degli stranieri in Cina.

Il compound, ovvero quella comunità abitativa che in Cina è composta da qualche decina (almeno) di palazzi alti in media trenta piani, circondati da mura e con guardie all'ingresso. Detta così sembra che la Cina urbana sia uno dei posti più pericolosi dove vivere… niente di più sbagliato! La sensazione diffusa di sicurezza è molto forte, si può andare in giro tranquillamente anche la sera senza che nessuno ti disturbi minimamente, figuriamoci la criminalità! Eppure a Suzhou (come anche nelle altre città) quasi tutti i compound, compresi quelli che noi stranieri chiamiamo “compound cinesi” (ovvero complessi popolari abitati esclusivamente da gente del posto) sono circondati da mura.

Il compound è un piccolo universo in miniatura: all'interno sorgono negozietti di alimentari, il barbiere, magari anche un asilo o il parco giochi. Il compound diventa, per noi italiani abituati a realtà molto più piccole, il sostituto del paese: vai a farti “le vasche” dove ci sono i negozietti e sicuramente incontrerai qualcuno con cui fare una chiacchieratina.

Nei compound più esclusivi c'è anche la piscina e la palestra (a disposizione dei residenti) e in altri, pagando una quota annuale, si può partecipare alle attività della “club house”, tra le quali, addirittura, la possibilità di fare colazione ogni mattina negli edifici comuni, stile buffet in albergo (Giuro! Voi ci andreste ogni mattina a fare colazione coi vostri vicini?).

Potrei vivere per mesi all'interno del compound senza aver bisogno di nulla: il negozio di alimentari e quello della frutta portano senza problemi la spesa a casa (e puoi anche ordinarla al telefono, ammesso che tu sappia parlare il cinese), posso svagarmi con manicure, pedicure e massaggi o andare a mangiare in uno dei ristoranti. Sotto casa  (ma dico, proprio sotto casa!) hanno aperto da qualche anno un ristorante italiano: siamo talmente abitué che i camerieri conoscono i nostri figli per nome. Inoltre gli scuolabus portano i figli alla fermata ai piedi del building, gli amici sono quasi tutti vicini di casa, i parchi giochi da poter frequentare sono tanti, a distanza di cinque minuti a piedi l'uno dall'altro.

Il compound svolge talmente bene la sua funzione di comunità urbana che il rischio, soprattutto per noi expat che spesso non abbiamo a disposizione un'automobile, è quello di fare la fatidica “vita da compound” senza quasi mai mettere il naso fuori dai suoi confini. Eppure, in città, i posti da esplorare sono davvero tanti e stare sempre rinchiusi nella gabbia dorata non è per niente cosa buona e giusta, perché ti precludi di vivere almeno un poco la vera realtà del posto dove vivi, che non è sicuro solo quella del condominio! Assaporare l'atmosfera caotica di Downtown o visitare uno degli splendidi giardini tradizionali (uno dei vanti di Suzhou), osare un giro in risciò o un pasto sulle bancarelle in strada, fare un giro in barca nei canali di Shang Tang Jie, prendere un treno superveloce e catapultarsi nella caotica, modernissima e splendida Shanghai sono tutte esperienze che, almeno una volta, vanno fatte! 

E poi conoscere negozi e negozietti nuovi, magari quelli frequentati solo dai locali, dove ti devi far capire a gesti e devi per forza trattare sul prezzo. I trasporti a Suzhou funzionano davvero benissimo e i taxi non sono cari: davvero, a parte la pigrizia, non c'è nessun ostacolo per chi vuol girare un poco. Gli unici paletti sono quelli interiori (e parlo per esperienza), che ti fanno trovare mille scuse: oggi piove/c'è nebbia/inquinamento/troppo sole/ho sonno/il bimbo è nervoso/stanco/non ho tempo (questa è davvero la migliore di tutte!). E così dopo anni di Cina ti ritrovi a ritornare in patria con la tua valigia di vestiti forse piena, ma quella di esperienze clamorosamente vuota. Ed è davvero un peccato.
Voi che tipi siete? Avventurosi, sedentari o timorosi? Condividete il vostro modo di vivere l'espatrio e scrivetelo nei commenti!


martedì 26 luglio 2016

LA FAMIGLIA DIVISA

Le vacanze dell’espatriata “cinese” sono quasi sempre vacanze da mamma single: i padri accompagnano, restano per qualche settimana e poi tornano in Cina, al lavoro. 

famiglia divisa


E’ quasi un mese che siamo in Italia da soli: il Papi Viaggiante si è trattenuto appena una decina di giorni, in giugno, e poi è tornato a Suzhou, mentre noi siamo rimasti a trascorrere il resto delle nostre ferie in madrepatria.

Ogni anno mi pento di aver deciso di restare così a lungo da sola con loro: gestire i figli in autonomia è davvero faticoso (soprattutto ora che sono tre!): la routine pesa interamente su una persona sola, i risvegli notturni, le incombenze della casa. Per non parlare poi di quando stanno male!

Ogni estate mi torna in mente il periodo nel quale siamo rimasti soli in Italia, mentre il Papi sondava il terreno in terra d’Oriente: sei mesi che ricordo durissimi, nei quali sono quasi impazzita gestendo da sola casa, figli e trasferimento. 


Narra Astrid, una delle protagoniste del mio libro:

“Non era stato per niente facile vivere da soli per sei mesi, mentre Stefano era già in Cina a sondare il terreno. Astrid si era sentita andare alla deriva, come mamma, come moglie e perfino come persona: con i bambini era diventata sempre più nervosa, aveva iniziato ad urlare per farsi ascoltare e perfino a tirare sberle. Si era sentita impotente, completamente in balìa dei suoi due figli entrambi piccoli e bisognosi di cure costanti. Una settimana ogni quattro Stefano tornava a casa e si aspettava di trovare la famiglia felice della pubblicità: invece lo accoglievano una moglie isterica, abbruttita dalla stanchezza, e due figli ingestibili. Astrid aveva la sensazione che lui le riversasse addosso tutte le colpe, mentre lei iniziava a covare rancore per la sua assenza. E così Stefano se ne andava ogni volta più frustrato e Astrid lo salutava ogni volta più arrabbiata.
Non si capivano più: vedersi qualche giorno al mese non poteva bastare a condividere, spiegarsi, risolvere i problemi e gioire dei piaceri.”

e credo che questo passaggio sia uno dei più autobiografici!

Stare per settimane senza il papà vuol dire abituarsi alla sua assenza. Vuol dire crearsi dei ritmi e delle routine che non prevedono il suo intervento, vuol dire adeguarsi alla solitudine fino a farla diventare parte integrante della giornata. I figli sentono terribilmente la sua mancanza oppure, per opposto, si abituano così bene al suo non esserci che quando ritorna lo trattano come un estraneo.

Le telefonate su skype sono un mero palliativo. Almeno, a me non sono mai piaciute. Ricordo i miei bimbi che si nascondevano sotto il tavolo mentre il padre ci restava malissimo… perché lo facevano? Boh questo me lo dovrebbe forse dire uno psicologo, so solo che per noi non è mai stato un piacere. 

E se questo vale per le difficoltà, vale anche per i momenti belli: assaporo un caffè nell’arietta del mio portico, ma lui non c’è. Andiamo in vacanza qualche giorno e ci godiamo i monti, ma lui non c’è. La nostra famiglia zoppica, vive le gioie a metà perché il papà non è con noi.

Eppure molte famiglie scelgono di stare divise, molte mogli decidono di lasciare che il marito parta da solo. E non parlo di vacanze o soluzioni temporanee, parlo di situazioni definitive. Rispetto le scelte di tutti (nessuno può sapere i meccanismi interni di una famiglia e il perché di certe decisioni) ma sono dell’idea che la decisione della lontananza dev’essere ben ponderata: a mio avviso può causare solo incomprensioni e problemi.

E voi come vivete la distanza? 







venerdì 22 luglio 2016

COSA MI MANCA DELLA CINA? (QUANDO SONO IN ITALIA)

Italia… paese dell’arte, del buon cibo e della bella vita. E poi mare, musica, sole, amici, grigliate in giardino. Eppure… non vi sembrerà vero, ma quando sono nel Belpaese c’è qualcosa della Cina che mi manca!


Le vacanze italiane sono sempre un periodo piacevole nel quale facciamo il pieno di tutte quelle cose che in Cina non abbiamo, dal buon cibo italiano alla compagnia di amici e parenti, passando per le giornate al mare e le feste in giardino. Un idillio. Ma, paradossalmente, se quando sono in Cina mi mancano alcuni aspetti dell’Italia, lo stesso succede quando sono in madrepatria: ci sono alcune cose delle quali ho proprio nostalgia! Ma quali sono?

Al primo posto metterei l’AYI il mitico angelo del focolare di cui parlo qui. La mia ayi è anche soprannominata Wonder Woman: lavora da me mezza giornata e quante cose riesce a fare lei in poche ore manco io in una settimana! All’inizio è stato difficile dare in gestione la casa a questa arzilla signora che viene da una remota provincia del nord, ma adesso mi fido ciecamente di quello che fa (e di come lo fa) e non potrei farne a meno. Ma in Italia… nisba! Devo fare tutto io, o l’alternativa è assumere una colf, una babysitter e un pensionato che mi faccia qualche commissione (e svenarmi completamente). Che pappamolla direte voi noi lo facciamo ogni giorno! Difatti mi chiedo come facevo io quando vivevo in Italia, lavoravo, avevo già due figli e dovevo gestire anche la casa. Probabilmente… di necessità virtù. Ma permettetemi di aver nostalgia di Wonder Woman!

LA SCUOLA Embè? diranno i genitori ma quella in tempo di vacanze manca a tutti! Vero. Ma quella dove vanno i miei figli mi manca ancor di più perché è una scuola a tempo pieno, li vengono a prendere e li riportano sotto casa con lo scuolabus, le attività extrascolastiche le fanno tutte nella struttura dopo l’orario delle lezioni. Ergo: nessun sbattimento. Troppo bello per essere vero.

LA SPESA ONLINE Già vi sento: Ma che, in Cina non fai nemmeno quella? Ammetto i miei peccati: compro quasi tutto online e me lo faccio portare sulla porta di casa. Ma ho una scusante: in Cina non abbiamo l’auto e portare borse di detersivi, lattine e bottiglie in taxi è una seccatura immane. Così ho imparato a smanettare sui siti online e compro tutto (o quasi) sul web.

IL BOCCIONE DELL’ACQUA CALDA Che ci vuole! Scalda un po’ d’acqua nel pentolino, no? No! Non è la stessa cosa che ritrovarsela pronta per un the o un caffè solubile (sì non storcete il muso, in Cina mi sono abituata a bere quello!) oppure liscia, come piace ai cinesi (e a me!). 

I TRASPORTI non mi fraintendete: quando sono in Italia sono felicissima di rimettermi al volante del nostro “torpedone” (come chiamiamo affettuosamente la nostra Fiat) e portare i miei figli dappertutto, ma mi scontro comunque col problema dei posteggi, l’auto calda sotto il sole, eccetera. Qualche volta mi piacerebbe poter usare un autobus o un comodissimo (e conveniente) taxi suzhouese!


E a voi? Cosa vi manca del vostro paese di adozione quando siete in Italia? O cosa vi manca della vostra città mentre siete in vacanza?

lunedì 13 giugno 2016

DEL RINCORRERE I SOGNI (IN ESPATRIO)

Rincorrere i propri sogni… è qualcosa che tutti vorrebbero fare, vero? E invece alle volte è così maledettamente difficile… vi svelo perchè, in un mare di ostacoli veri o presunti, è stato proprio l’espatrio a darmi la spinta giusta.

dream


Non nasciamo spenti. Lo diventiamo a poco a poco, dopo una vita di compromessi, scuse e rinunce. Da bambini, da ragazzi, avevamo gli occhi vivaci e tanti sogni. Che fine fanno poi quei sogni? Vengono sommersi da obblighi, doveri, scelte sbagliate (o peggio non scelte), sacrosanto desiderio di una vita “normale” che ti porta a fare un mutuo e diventare schiavo del tuo lavoro, privato di ogni briciola di tempo libero, e, diciamocela tutta, pure un po’ rassegnato.

Il mio sogno era quello di scrivere, di diventare un giorno una scrittrice. Invece sono diventata ragioniera, questo lo sapete già se mi seguite (amo molto definirmi ex contabile, in quella piccola parola, ex, ci sta un grande significato per me). E il sogno è stato messo da parte. Non è che non ci fosse la possibilità di inseguirlo: ma erano troppi i timori, troppe le paure, il terreno delle scuse era fertile e pronto. E allora facciamola finita: rinunciamo! Ma quel pensiero resta sempre sepolto sotto cumuli di giustificazioni, come se fosse conficcato nel cervello. E fa male.

Poi succede qualcosa. Nel mio caso per fortuna nulla di catastrofico: solo un espatrio. Ma il fatto di essere andata a vivere all’estero, e per giunta in un paese così lontano e diverso come la Cina, è stato un tale scossone che ha ridimensionato la mia vita intera. 

Perché è stato l’espatrio il catalizzatore di questo processo?

Perché vivere all’estero mi ha costretta a scendere a patti con le mie paure, fare esperienze che in patria mi sarei negata. Ho dovuto metterci la faccia, senza scuse, senza ma e senza se. In Italia non l’avrei mai fatto, cullata com’ero nella comoda routine della mia sicurezza. Magari piena di rimpianti, ma sicura e al calduccio. In espatrio le sicurezze sono tutte vacillate, le scuse non esistevano più. Senza contare che mi sono ritrovata anche con un bel po’ di tempo libero. Non mi è rimasto altro che mettermi in gioco.

Racconta Astrid, una delle protagoniste del libro:

“Quando preparava il trasferimento in Cina, diverse volte si era sentita come sull’orlo di un abisso, a dover fare cose completamente nuove e senza aver nessuna sicurezza che tutto sarebbe andato bene. (…) Ma ora si rendeva conto che affrontare tutte quelle novità, assumersi tutti quei rischi l’aveva resa capace di compiere azioni che, fino a pochi mesi prima, avrebbe considerato totalmente estranee al suo modo di essere.”

Ed eccomi qua. Un libro pubblicato! Il sogno di una vita. Certo, il cammino è ancora lungo: non bastano duecento pagine di trama a far di me una scrittrice, non è sufficiente un libro per vivere di scrittura. Ma è un inizio, un puntino messo su quella i che lo attendeva da troppo tempo.

Scrivere il libro è stata la parte meno difficile: l’impegno vero è stata la promozione! Buttarsi a capofitto in un campo per me sconosciuto, cercando di fare del mio meglio per far conoscere il libro senza diventare una fastidiosa e rompiscatole venditrice di aspirapolveri. Se ci sono riuscita ancora non lo so, ma ho già avuto molte soddisfazioni: la prima di tutte l’esser andata dritta dritta incontro alle mie paure, averle sfidate, esserci passata attraverso ed essermi resa conto che non erano poi così tremende come me le figuravo.

Ho ricevuto alcuni no e qualche porta sbattuta in faccia, ma ho trovato anche persone sorridenti e disponibili a saperne qualcosa di più su quest’autrice esordiente e sconosciuta. 

Avevo tanta paura prima di pubblicare il libro: paura che non piacesse (beh questo è successo e succederà ancora, perché per fortuna l’apprezzamento o meno di un romanzo è qualcosa di squisitamente soggettivo), paura di parlarne, paura di farlo conoscere, paura di svelare troppo di me stessa. Pian piano ho affrontato ogni timore e l’ho sconfitto. L’ultimo, forse il più grande, quello di parlare in pubblico: invece le presentazioni fatte finora sono state un momento piacevolissimo di condivisione e scambio e, nonostante l’emozione, posso dire di essermela cavata bene! 

presentazione prezzemolo e cilantro
Eccomi a parlare in pubblico: chi l’avrebbe mai detto che sarei riuscita a farlo con spigliatezza?


La cosa più bella? Sentirmi dire che sono riuscita a mettere nero su bianco le sensazioni delle donne espatriate in Cina, a raccontare le emozioni che prima o poi tutte provano, e a farlo in modo leggero e piacevole. Questi apprezzamenti sono decisamente la mia soddisfazione più grande, mi sento di essere riuscita nel mio intento e sono davvero felice che in molte si siano immedesimate in quello che ho scritto.

Indipendentemente dal risultato che otterrò, questa avventura è già stata per me un successo: prima di tutto una vittoria sulla me stessa sempre poco convinta di se stessa. 
E non avrò più costantemente quella vocina carica di rimpianto che mi sussurra in testa: "Se solo avessi provato a farlo..."

martedì 24 maggio 2016

I #POSTI CHE

Raccolgo l’invito di Ciccola, autrice del blog Gattosandro Viaggiatore, e vi parlo dei #POSTICHE, un tag ideato da Nerogrigio, iniziativa alla quale partecipo però a modo mio!


Quanti posti ci sono nella vita di una persona? Posti amati, odiati, che si vogliono dimenticare o dei quali si ha nostalgia… ognuno di noi potrebbe stilare un lungo elenco di città o paesi, ma anche di vie o angolini nascosti che nessuno conosce… ogni posto ha un’atmosfera sua, peculiare. E ogni posto racconta una storia. Questi sono i miei:

TRIESTE è la città dove sono nata e che mi è sempre stata stretta. Pur essendo bellissima e ricca di storia, negli anni in cui io ero giovane era un posto piuttosto “morto”, dall’economia stagnante e la vita mondana piuttosto piatta. Era conosciuta come “la città più vecchia d’Italia”, avendo una larghissima fetta della popolazione over 70. Ho provato più volte ad andar via… alla fine ci sono riuscita! Ma di Trieste mi manca il mare: le passeggiate sul lungomare di Barcola, sempre affollatissima quando inizia il caldo; oppure star seduta sul Molo Audace, di fronte alla splendida Piazza Unità, mentre soffia la bora e le onde spumeggiano schizzandoti la faccia. 

ROMA uno dei primi posti dove sarei voluta andare a vivere (possiamo dire fuggire?). Sogno dei miei giorni di ragazza diciottenne: andavo a trovare un mio amico (sperando che diventasse prima o poi fidanzato), ma lui aveva piani diversi e la delusione è stata cocente.
Roma ha un’atmosfera gioiosa, calda, stupenda: ci sono stata innumerevoli volte e ne sono innamorata! Mi rammarico di non essere riuscita ad andarci col Papi Viaggiante prima che nascessero i figli… ma magari posso rimediare un giorno, lasciando i pargoli a qualche parente? (non fate la fila, però!)

BISIACARIA è la zona che si trova fra Trieste e Udine, bis-aquae, tra due fiumi: il Timavo e l’isonzo. E’ il posto dove pensavo di aver messo radici prima di spostarmi dall’altra parte del mondo: una zona semplice, campagnola, che mi metteva addosso pace e serenità. Con sudore e fatica io e il Papi Viaggiante ci abbiamo costruito una casa che ora è vuota: i fiori del mio giardino sbocciano senza che nessuno se li goda, se non la Super Nonna che qualche volta mi manda una foto del pergolato in fiore. E’ il posto dove torniamo a Natale e in estate, è il posto dove abbiamo tanti amici. E’ il posto che ci accoglie sempre a braccia aperte anche se lo stiamo trascurando.

VIETNAM ci sono stata in viaggio di nozze. Diciassette meravigliosi giorni nei quali lo abbiamo girato da nord a sud. Il mio primo impatto con l’Asia, continente che è sempre stato nei miei pensieri e che mi ha sempre affascinato. Del Vietnam ho un ricordo bellissimo: mi sono piaciute le sue città affollate e rumorose, le campagne disseminate di semplici e povere case, le spiaggie e i fiumi. Il Vietnam mi ha lasciato il ricordo di un’atmosfera magica, proprio l’Asia che mi immaginavo e che mi ha stregato. Vorrei davvero poterci tornare un giorno.

PARIGI ci sono stata un paio di volte, sono perfino riuscita ad organizzarci un viaggio sola col Papi Viaggiante quando già c’erano i bimbi. Parigi mi piace un sacco: ha un’atmosfera romantica e snob che mi ammalia! Tornarci coi figli? Mmh, non lo so! Eppure qualcosa mi dice che prima o poi rimetterò piede in questa splendida città.

SUZHOU è la città dove viviamo: per gli standard cinesi viene considerata di “seconda fascia”, ovvero di media grandezza. Per me è sterminata: soltanto nel mio compound vivono altrettanti abitanti che nel mio paesino. Suzhou è moderna, disseminata di palazzi di cemento come quasi tutte le città cinesi che ho visto. Ma è anche tradizionale e ricca di storia: un giro nel centro, tra risciò, canali e casette tradizionali, fa scoprire la sua atmosfera antica e genuina. Se pianificate un viaggio in Cina, includetela: non ve ne pentirete!

SHANGHAI enorme, moderna, caotica, rumorosa e piena di contrasti. Quando ci misi piede per la prima volta, nel mio viaggio di ricognizione in Cina col Papi Viaggiante, ne rimasi affascinata! I panorami del Bund e di Pudong sono mozzafiato. E pensare che nel lontano 2000, anno del primo viaggio in Cina del Papi Viaggiante, quando mi mostrò alcune foto pensai: “Che posto splendido! Chissà se mai lo vedrò in vita mia?”. Ora per raggiugere Shanghai ci metto mezz’ora di treno superveloce e sono capace di girarla da sola senza perdermi. Che meraviglia!


A questo punto dovrei nominare altri blog che, seguendo le regole (che io per prima non ho rispettato…) dovrebbero raccontare i loro #POSTICHE. Ma siccome, appunto, nello scrivere di questo argomento per una volta sono stata anarchica, invece di nominare dei blog pubblicherò il post sulla pagina Facebook di Cucinanto e vediamo chi ha volgia di raccogliere l’invito e commentare con i suoi #POSTICHE!

giovedì 19 maggio 2016

LIBRI SULL'ESPATRIO (CHE HO LETTO E CHE CONSIGLIEREI)

La mia avventura di espatriata e il fatto di aver scritto un libro proprio sull’argomento mi ha fatto avvicinare ad un filone di letteratura che prima non conoscevo… la letteratura expat!

espatrio

L’espatrio è un’esperienza forte: ti forgia, ti cambia. Inevitabile sentire il bisogno di parlarne. Ecco allora che, sull’argomento, esistono svariati blog, il più delle volte scritti da donne. Non raramente, come è successo a me, la voglia di raccontare prende forma in un qualcosa di più unitario e complesso: nasce allora un romanzo, un manuale, un’ autobiografia.

Nel panorama anglosassone ci sono decine e decine di titoli dedicati all’espatrio: moltissimi manuali su come affrontare nel miglior modo le sfide del trasferimento (e del rimpatrio!), su come costruirsi una carriera portatile, su come aiutare i figli a trarre il meglio dal loro destino di TCK (third culture kids), ma anche molte storie autobiografiche e non. In lingua italiana esiste molto meno, ma se siete interessate all’argomento potrete comunque trovare un buon numero di titoli.

Io ultimamente ne ho letti parecchi, di questi libri dedicati all’espatrio, e in ognuno ho trovato qualcosa di me. Il mio desiderio col post di oggi è di condividerli con voi, descrivendovi brevemente qual’è il messaggio e l’emozione che mi hanno lasciato. 

MAMME NEL DESERTO la storia di Mimma e Drusilla, autrici dell'omonimo blog, molto attive sul web, sempre pronte a condividere aneddoti e consigli, le due autrici raccontano in questo libro di come sia nata la loro amicizia durante l’espatrio in Kuwait e di come sia la vita in questo, tutto sommato, poco conosciuto paese del Medio Oriente. Mi è piaciuta molto la freschezza con la quale hanno descritto la loro vita quotidiana, mi è piaciuto molto questo racconto a due voci, così diverse: la frizzante e chiacchierona Mimma e la più pacata e riflessiva Drusilla.

DONNE CHE EMIGRANO ALL’ESTERO si tratta di una raccolta di testimonianze di donne che vivono all’estero, libro creato dal sito omonimo (i ricavati del quale saranno devoluti in beneficienza). Ho letto avidamente le storie di queste donne sparse per il mondo e in ognuna ho potuto trovare una parte di me: una sensazione, un pensiero, una frase. Consigliatissimo a tutte coloro che vorrebbero espatriare ma, per qualche ragione, non riescono ancora a fare il grande passo. Date un’occhiata al booktrailer, ne vale la pena!

EQUAZIONE DI UN AMORE non un vero e proprio libro sull’espatrio, ma una storia d’amore tormentata, appassionante, emozionante e dal finale sorprendente. Allora perché ne parlo qui? Perché Lea, la protagonista, si ritrova ad espatriare col marito a Singapore e qui scrive un libro, Diario di un’expat, che viene accettato da una casa editrice italiana. Galeotto fu il libro, Lea deve tornare a Roma per incontrarsi con l’editore e qui rivedrà un vecchio amore che invano ha tentato di dimenticare e che, nuovamente, getterà scompiglio nella sua vita. Oltre alla storia d’amore appassionata e che mi ha tenuto incollata alle pagine, del libro mi è piaciuta la parte dedicata all’espatrio, in quanto ha gettato una luce diversa su Singapore, posto che io considero una meta da sogno, ma che forse, come tutti i luoghi del mondo, possiede anche i suoi lati negativi. Ed il finale, davvero inaspettato, si svolge proprio a Singapore!

BIG IN CHINA (in inglese) Alan Paul, giornalista freelancer, blogger, marito accompagnante (per una volta tanto!) racconta la sua avventura di expat a Pechino. Mi è piaciuto molto il suo modo sincero e ironico di raccontare Expatland e la Cina, la naturalezza con la quale afferma di aver seguito la moglie e aver fatto da “mammo” per i suoi figli durante gli anni cinesi. Molto piacevole anche il racconto di come è riuscito a metter su un gruppo blues di discreto successo, formato da musicisti expat e cinesi. Lettura interessante, divertente e mai noiosa.

E poi c’è il libro che ho scritto io, ma se siete curiosi di sapere di che si tratta, visitate la pagina di presentazione

Buone letture a tutti!

domenica 8 maggio 2016

E' USCITO! PREZZEMOLO & CILANTRO

Oggi esce “Prezzemolo & Cilantro”, un romanzo ispirato all’esperienza delle donne italiane in Cina, che racconta delle loro emozioni, sfide, difficoltà e gioie in quella grande avventura che è l’espatrio.


Esce il giorno della Festa della Mamma… perché è un libro che parla essenzialmente di donne, della loro energia, della loro capacità di reinventarsi, di essere camaleontiche. Di sopportare solitudine e nostalgia, di essere una spalla forte per il marito e i figli.

E’ un tributo a quelle mamme che si spostano altrove, in culture diverse, imparano con fatica una nuova lingua e cucinanto cibi con ingredienti sconosciuti. Ce la mettono tutta per far vivere serenamente i propri figli. Hanno rinunciato a tanto per mantenere unita la famiglia.

E anche a quelle mamme che invece restano, magari in una realtà economicamente difficile, che ogni giorno prendono la macchina e portano i figli a scuola, vanno al lavoro, li riprendono, li aiutano a fare i compiti, e quando i pargoli sono finalmente a dormire fanno tutte le faccende: mamme che non hanno lo scuolabus o l’ayi e che magari qualche volta sognano di scappare.

Dedicato ai mariti di “spose accompagnanti”, che spesso fanno fatica a mettersi nei panni della moglie che li ha seguiti in capo al mondo. Arrivano a casa dopo una giornata di lavoro e le trovano tristi, si chiedono il perché dato che tutto è così perfetto: ma non sempre è tutt’oro ciò che luccica.

Dedicato a chi ha vissuto in Cina e che magari in queste pagine potrà ritrovare un poco di se stessa: una sorta di diario, di memoria. 

E dedicato ai lettori del mio blog: vi ringrazio per avermi sostenuto in questi anni di condivisione!

Vi rimando all’apposita pagina del libro se siete interessati a saperne di più sulla trama e sui personaggi e, se vi viene la curiosità di leggerlo, potete trovarlo in vendita su Amazon sia in formato ebook che cartaceo.




martedì 26 aprile 2016

PERCHE' HO SCRITTO UN LIBRO?

Come è nata l’idea di scrivere un libro? E perché un romanzo? Vi svelo i retroscena delle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere “Prezzemolo & Cilantro”, che uscirà l’8 maggio su Amazon

prezzemolo e cilantro

Ho sempre amato scrivere storie, fin da piccolina. Immergermi nella trama inventata, dove tutto può succedere, far fluire le parole come se la storia fosse stata lì da sempre, solo in attesa di qualcuno che avesse abbastanza entusiasmo, dedizione e pazienza per metterla nero su bianco. Prima di avere i figli ho trascorso intere notti davanti al mio computer, persa in mondi paralleli, a scrivere racconti e brevi romanzi che ho sempre tenuto gelosamente nel cassetto, fatti leggere soltanto ad un circolo davvero ristretto di persone. E’ sempre stata un’attività che mi ha dato immensa soddisfazione.

Poi sono venuta in Cina e la vita quotidiana dell’espatrio, con le sue difficoltà, le differenze, le sfide e i momenti di sconforto era talmente complessa che l’unico modo per cercare di raccontarla era, ancora una volta, scrivere. Ad un certo punto il blog non mi è bastato più: troppi racconti, aneddoti, considerazioni per poterli esaurire scrivendo solo della nostra storia. Ecco che è nata l’idea del romanzo. Era da tempo che volevo scrivere un libro “vero”, ossia una storia abbastanza complessa e lunga, con personaggi ben definiti, che potesse esser data alle stampe.

E così è nato “Prezzemolo & Cilantro - storie di donne italiane in Cina”, un libro che tratta di espatrio ma soprattutto parla di donne: racconta le emozioni, le sfide quotidiane, le difficoltà e gli entusiasmi di un gruppo di donne italiane che approdano in Cina. 

Ci ho messo un anno a scrivere “Prezzemolo & Cilantro”. Non è stato difficile: ogni mattina (beh… non proprio ogni mattina, non sono così disciplinata!) mi mettevo al PC e iniziavo a descrivere… scrivevo della vita che mi scorreva sotto gli occhi ogni giorno, parlavo dell’esperienza delle espatriate italiane in Cina, descrivevo semplicemente quello che vedevo fuori dalla finestra, filtrato però dal velo della fantasia e dell’invenzione. Era comunque un terreno conosciuto, un sentiero che percorrevo facilmente e senza ostacoli.

Ho scritto il libro. Poi l’ho rimaneggiato. L’ho riscritto di nuovo, cambiando la struttura. L’ho letto e riletto. Cambiato ancora. Direi che adesso è ora di lasciar perdere il perfezionismo e mandarlo alle stampe! 
E qua arriva la parte difficile! Non credo a chi dice “scrivo per me stesso”: l’espressione tramite la parola richiede per forza di cose un lettore, una persona al di fuori che possa ricevere la storia, immedesimarsi nei personaggi, esprimere il suo punto di vista. Lo scrittore dà in pasto ai lettori non solo ciò che ha scritto ma anche una parte di se stesso: le sue idee, emozioni, sentimenti. E si denuda di fronte al loro giudizio. Perché chiunque legge un libro, inevitabilmente lo giudica: valuta il proprio coinvolgimento, il piacere (o meno) provato nel seguire la storia, la verosimiglianza dei personaggi, e molto altro. E’ un processo squisitamente soggettivo: lo stesso libro può intrigare e commuovere un lettore e lasciare indifferente un altro. E questo giudizio spaventa.

Se il processo di scrittura è stato un viaggio dove tutto è andato (più o meno) liscio, la pubblicazione e la promozione sono per me una sfida immensa: la me stessa timida e per nulla self confident deve lasciare lo spazio ad un’altra persona, entusiasta e grintosa, in grado di presentare la storia che ha scritto ai suoi futuri lettori, evidenziando le caratteristiche positive e minimizzando quelle che potrebbero essere le debolezze. Sto preparando il lancio, gli annunci, le email, le presentazioni… 

E non mi vergogno di confessarvi che ho paura: di parlare in pubblico, del giudizio, di non essere all’altezza di questa strada che ho intrapreso. Ma nonostante tutto, vado avanti: non voglio ritrovarmi a dire, come fa una delle protagoniste del libro “Quante cose avrei potuto fare, se non avessi avuto paura.” 







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