“Please do you have
time next week to come to your son class to do some art works with
kids for Christmas?”
Questo era il tenore
(errori compresi) della comunicazione che avevo sul diario di scuola
del Torello la scorsa settimana. Fare qualche lavoretto coi bambini
in classe? Ma certo! Così ieri pomeriggio sono andata a scuola per
quella che credevo essere una mera collaborazione. I bimbi si sono
seduti tutti in cerchio davanti alla sedia (vuota) della teacher e
lei, candida, mi ha detto:
“Bene, puoi sederti e
iniziare la lezione!”
“Coooosaaa?”
Io non avevo mica capito
che quella che doveva tenere la lezione d'arte ero io: non avevo
preparato nulla! Per fortuna la maestra del Torello è una giovane
che non si perde d'animo e io sono una tipa creativa, il panico è
durato solo trenta secondi e, in quattro e quattr'otto, abbiamo
deciso di fare un collage. Lei mi ha procurato carta colorata, colla
e forbici e io, con una sicurezza degna di Steve Jobs quando
presentava un nuovo prodotto Apple, ho mostrato ai bambini come
avremmo creato un alberello di Natale decorato. Mentre ritagliavo e
improvvisavo la spiegazione a braccio, i piccoli accoglievano ogni
cosa con un “wao!” entusiastico. Poi si sono seduti ai tavolini
ed hanno iniziato il lavoretto: vedere il loro orgoglio mentre mi
mostravano le creazioni era davvero emozionante.
È sempre commovente
rendersi conto di quanto poco basti ai bimbi per essere felici:
qualche paillette, un po' di colla, ritagli di carta multicolore.
Tutti (a parte il Torello che, emozionato dall'avere la mamma in
classe, mi tirava per giocare con me) hanno lavorato alacremente.
Può sembrare una cosa
banale, ma se tre anni fa mi avessero detto che avrei dovuto
improvvisare una lezione di arte (in inglese) per dei nanetti di
quattro anni provenienti da otto nazioni diverse, alcuni dei quali si
sarebbero rivolti a me in cinese, avrei pensato che erano pazzi.
Sì, tre anni fa me la
sarei fatta sotto al solo pensiero. Non ridete: io nella mia vita
precedente facevo la contabile ed avere buone capacità di public
speaking non è una delle competenze richieste ad un bravo
ragioniere. Tre anni fa avrei considerato il fatto di mettermi seduta
su quella seggiolina davanti ai bambini (senza previa preparazione di
un paio di settimane!) come una sfida galattica, l'avrei considerata
non solo un passo fuori dalla zona di comfort, ma un balzo!
Questo è quello che mi
ha donato l'espatrio: la capacità di andare oltre, di fare cose
diverse e che mi spaventano, di acquisire ogni giorno di più
sicurezza in me stessa. Che ti piaccia o no, l'espatrio ti cambia:
dal momento stesso in cui metti piede su quell'aereo che ti porterà
a vivere all'estero, sarai una persona diversa, senz'altro migliore.
In questi anni ho
conosciuto persone che vivono male la loro esperienza estera, alcuni
danno la colpa alla Cina, pensano che, magari, se fossero in Canada o
in Brasile, le cose sarebbero diverse.
Io però sono convinta
che il disagio parta da dentro: è qualcosa di non risolto che
abbiamo nel nostro cuore e dobbiamo vedercela, prima di tutto, con
noi stessi. Il modo per sfruttare al meglio l'esperienza di expat
esiste, anche se il paese di accoglienza non ti piace. Non è un
processo facile, ma può portare grandi soddisfazioni. Ed è diverso
per ognuno di noi. Ma vale la pena provare.