martedì 26 luglio 2016

LA FAMIGLIA DIVISA

Le vacanze dell’espatriata “cinese” sono quasi sempre vacanze da mamma single: i padri accompagnano, restano per qualche settimana e poi tornano in Cina, al lavoro. 

famiglia divisa


E’ quasi un mese che siamo in Italia da soli: il Papi Viaggiante si è trattenuto appena una decina di giorni, in giugno, e poi è tornato a Suzhou, mentre noi siamo rimasti a trascorrere il resto delle nostre ferie in madrepatria.

Ogni anno mi pento di aver deciso di restare così a lungo da sola con loro: gestire i figli in autonomia è davvero faticoso (soprattutto ora che sono tre!): la routine pesa interamente su una persona sola, i risvegli notturni, le incombenze della casa. Per non parlare poi di quando stanno male!

Ogni estate mi torna in mente il periodo nel quale siamo rimasti soli in Italia, mentre il Papi sondava il terreno in terra d’Oriente: sei mesi che ricordo durissimi, nei quali sono quasi impazzita gestendo da sola casa, figli e trasferimento. 


Narra Astrid, una delle protagoniste del mio libro:

“Non era stato per niente facile vivere da soli per sei mesi, mentre Stefano era già in Cina a sondare il terreno. Astrid si era sentita andare alla deriva, come mamma, come moglie e perfino come persona: con i bambini era diventata sempre più nervosa, aveva iniziato ad urlare per farsi ascoltare e perfino a tirare sberle. Si era sentita impotente, completamente in balìa dei suoi due figli entrambi piccoli e bisognosi di cure costanti. Una settimana ogni quattro Stefano tornava a casa e si aspettava di trovare la famiglia felice della pubblicità: invece lo accoglievano una moglie isterica, abbruttita dalla stanchezza, e due figli ingestibili. Astrid aveva la sensazione che lui le riversasse addosso tutte le colpe, mentre lei iniziava a covare rancore per la sua assenza. E così Stefano se ne andava ogni volta più frustrato e Astrid lo salutava ogni volta più arrabbiata.
Non si capivano più: vedersi qualche giorno al mese non poteva bastare a condividere, spiegarsi, risolvere i problemi e gioire dei piaceri.”

e credo che questo passaggio sia uno dei più autobiografici!

Stare per settimane senza il papà vuol dire abituarsi alla sua assenza. Vuol dire crearsi dei ritmi e delle routine che non prevedono il suo intervento, vuol dire adeguarsi alla solitudine fino a farla diventare parte integrante della giornata. I figli sentono terribilmente la sua mancanza oppure, per opposto, si abituano così bene al suo non esserci che quando ritorna lo trattano come un estraneo.

Le telefonate su skype sono un mero palliativo. Almeno, a me non sono mai piaciute. Ricordo i miei bimbi che si nascondevano sotto il tavolo mentre il padre ci restava malissimo… perché lo facevano? Boh questo me lo dovrebbe forse dire uno psicologo, so solo che per noi non è mai stato un piacere. 

E se questo vale per le difficoltà, vale anche per i momenti belli: assaporo un caffè nell’arietta del mio portico, ma lui non c’è. Andiamo in vacanza qualche giorno e ci godiamo i monti, ma lui non c’è. La nostra famiglia zoppica, vive le gioie a metà perché il papà non è con noi.

Eppure molte famiglie scelgono di stare divise, molte mogli decidono di lasciare che il marito parta da solo. E non parlo di vacanze o soluzioni temporanee, parlo di situazioni definitive. Rispetto le scelte di tutti (nessuno può sapere i meccanismi interni di una famiglia e il perché di certe decisioni) ma sono dell’idea che la decisione della lontananza dev’essere ben ponderata: a mio avviso può causare solo incomprensioni e problemi.

E voi come vivete la distanza? 







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