Vivere un’emergenza virus. Questa mi pareva di non averla segnata sulla bucket list! Eppure è quello che mi sta succedendo nei primi giorni dell’anno del topo.
Appoggio sul tavolo il telefonino. Non ne posso più di leggere articoli, suggerimenti, statistiche. La testa mi scoppia. Forse è meglio che mi distragga e provi a buttar giù due righe, raccontarvi cosa si prova a vivere in Cina ai tempi del coronavirus.
E’ da sei giorni che siamo chiusi in casa. Siamo usciti il minimo indispensabile, solo per far la spesa, sempre con la mascherina come fanno ormai tutti. Le vie sono semi vuote. Poche macchine in giro. In una Cina che siamo abituati a vedere popolosa e affollata è una sensazione strana.
Il governo della città ha esteso le vacanze del capodanno cinese fino al 18 febbraio per le scuole e fino al 9 febbraio per le aziende. Sono sospese feste, fiere, cinema, teatri, lezioni nelle scuole private. Lo sforzo che il paese fa per arginare il contagio è enorme.
La gente sta chiusa in casa. Girano video divertenti di persone che giocano a ping pong sul tavolino del salotto o pescano nell’acquario. Bisogna pur trovare come passare il tempo! I miei tre figli stanno trovando risorse inaspettate per divertirsi: giocare alle mummie con la carta igienica (poi la ricicliamo, tranquilli!), mettersi le mutande (pulite!) In testa e far finta di essere Captain Underpants, creare una fitta rete di laser nel soggiorno utilizzando il nastro adesivo, rischiando di far inciampare la mamma.
Con le altre italiane in città, ci sentiamo via chat. C’è poca voglia di incontrarsi. Ma cerchiamo di tenerci su il morale come possiamo. Dopo i primi giorni in cui serpeggiava il panico (purtroppo alimentato da notizie ipotetiche, false o reali) ci concentriamo sulla positività, come ad esempio la prima paziente guarita dimessa dall’ospedale di Shanghai. Oppure ridiamo con degli scherzi. L’animo umano si adatta come meglio può, e le battute e i meme hanno iniziato a essere diffusi da subito nei gruppi in WeChat. Qualcuno si è offeso per la mancanza di sensibilità, ma la maggioranza si è fatta volentieri una risata.
Passiamo da momenti di lucida razionalità nei quali siamo consce che la situazione passerà, come altre mille brutte situazioni sono passate, ad altri nei quali il cervello animale si fa prendere dall’ansia. Le notizie belle ci sostengono, quelle brutte ci stroncano. Ma ci facciamo forza l'un l'altra.
Non è tanto la paura del virus (che, ovvio, esiste) ma il disagio di vivere in una città bloccata, deserta, guardinga. Il peso psicologico di star tappati in casa a scorrere come pazzi le notizie su WeChat e su tutti i siti stranieri, per poi trovarsi stravolte di stanchezza e con la testa che scoppia. L’incertezza di cosa succederà domani. Nonostante la fiducia nel paese che ci ospita e nella sua capacità di superare la crisi.
E allora sale la nostalgia dell’Italia, il desiderio di fare una passeggiata sulla spiaggia in inverno, senza preoccuparsi di indossare la mascherina o disinfettare le mani.
Vorrei mandare un abbraccio virtuale a tutti gli italiani in Cina, che - come me - stanno vivendo questa situazione. E un pensiero pure ai cinesi che ce la stanno mettendo davvero tutta per uscirne in fretta.
Vi lascio con una frase del nostro Roberto Benigni, con l’augurio che la situazione si risolva presto per tutti: “Smettila di pensare a cosa potrebbe andare male e inizia a pensare a cosa potrebbe andare bene.”