venerdì 11 dicembre 2015

BECAUSE OF YOUR AGE



Decidere di portare avanti una gravidanza e partorire all’estero è una scelta che mette un po’ di timore: e se va storto qualcosa? Con chi parlo, dove vado, che faccio?
Io ho parlato chiaro col buon Dio: ho altri due figli e sono lontana migliaia di chilometri dal resto della famiglia, il Papi Viaggiante è sempre in giro e quindi durante questa gravidanza DEVE ANDARE TUTTO LISCIO!

Ringrazio il Signore che ha esaudito la mia preghiera: ho avuto una gravidanza normale, tranquilla, senza intoppi.Ho trascorso l’estate a Suzhou, ma non è stato poi tanto brutto.
Le visite all’ospedale si sono susseguite senza particolari problemi di comunicazione, nonostante tutto venisse filtrato dalla traduzione dell’infermiera VIP (e ho ringraziato il cielo di essere una mamma già esperta… le informazioni che ho ricevuto erano davvero col contagoccie e se fosse stato il primo figlio mi sarei agitata da morire!).

Mi hanno fatto sentire sempre più vecchia, dato che ogni piccolo disturbo che lamentavo pareva essere “because of your age”!
“Because of my age” mi hanno anche fatto il test del DNA, che non è per accertarsi della reale paternità del pargolo, ma per indagare eventuali malattie cromosomiche: ho evitato esami invasivi come l’amniocentesi e con un semplice esame del sangue mi sono tolta un pensiero!
“Because of my age” (ma non solo per quello, anche per una serie infinita di motivi che non ho ben capito) mi hanno proibito di andare in piscina dopo la 28a settimana. Io, che a causa del mal di schiena non riuscivo a camminare a lungo (ah, ovviamente anche il mal di schiena era because of my age!), ho trascorso una gravidanza davvero poco sportiva. Meno male che l’anno prima ero andata in palestra!

Insomma, tutto è andato bene per fortuna! La gravidanza in Cina viene vissuta con tutte le cautele, alle donne non è permesso fare sforzi o lavorare troppo ed io mi sono adeguata alle usanze del mio paese ospitante! Ma, mi sono detta, dopotutto sono una vecchietta, è il caso che me la prendo con calma, no?



venerdì 4 dicembre 2015

SENTIRSI VIP (OSPEDALE CINESE PARTE SECONDA)


La sezione VIP dell’ospedale è una zona a parte al secondo piano: ampie vetrate, piante e divanetti, in ordine e accogliente, al centro si trova il bancone dove stazionano le infermiere e ai lati delle stanzette dove si fanno le visite, i prelievi, etc. 
Le infermiere parlano un inglese molto buono, i medici in carica alla sezione VIP sono due e si occupano delle visite generiche, mentre i medici specialistici (tipo la ginecologa che dovrò incontrare io) arrivano dai reparti e quindi comunicano solo in cinese, saranno le infermiere a fare da traduttrici.

Una delle cose belle del VIP è che l’infermiera ti accompagna a fare i prelievi, le ecografie (e tutte le varie prove ed esami richiesti durante una gravidanza) nelle varie sezioni dell’ospedale e si occupa lei di parlare e spiegare, inoltre salti tutta la fila: sei un VIP a tutti gli effetti! Tutto quello che devi fare è solo pagare: difatti fare una visita o un esame al VIP ti costa il doppio rispetto alla sezione “normale” (ma, credetemi, è ancora un prezzo basso rispetto alle visite private in Italia!).

“Sei matta, vai a fare le visite prenatali al Kowloon?” mi dice una mamma di Taiwan quando, ad un ritrovo di classe della Pupella, racconto di essere in dolce attesa. Perfino tra i cinesi di oltremare è diffusa la sensazione che l’ospedale nella “Mainland” sia un posto sporco, brutto e cattivo dove le norme igieniche non esistono.
“Guarda che anche negli ospedali cinesi esistono protocolli igienici!” ribatte una mamma austriaca, che anni fa ha vissuto nella Mongolia Interna e ne sa qualcosa “Mica riciclano gli aghi: è tutto sterile…” (ma la mamma di Taiwan non sembra molto convinta).

Per fortuna la prima impressione è buona: gli aghi sono davvero sterili e le infermiere indossano perfino la mascherina! Incontro finalmente la dottoressa (che sarà quella che mi seguirà per tutta la gravidanza e fino al cesareo e, pensate, siccome il suo nome sulle carte è scritto in cinese e non riconosco i caratteri, ancora oggi non so nemmeno come si chiama!) e faccio la prima chiacchierata e visita. 

Piccola nota curiosa per le donne: in Cina durante una gravidanza non si fa nemmeno una visita interna. In sei mesi di controlli mi hanno misurato la pancia, sentito il cuore del baby, misurato la pressione ma MAI visitata lì dove dovrebbe uscire il bambino!

Faccio i primi esami del sangue: arrivo lì alle otto del mattino e alle otto e venti sono fuori, fantastico! Niente a che vedere con le file lunghe un’ora che mi toccava fare, a stomaco vuoto e in preda alle nausee, nel mio ospedale italiano. Mah, che dire, lì mica ero VIP! Ed è anche comodo che l’ospedale sia a pochi minuti di taxi da casa mia: nemmeno il disturbo di arrivare fino a Shanghai per le visite!



Rassicurata, mi porto a casa il calendario delle visite (che tutto sommato non è tanto diverso da quello che si fa in Italia) e la prima foto dell’ecografia del mio bambino. Va tutto bene, non c’è da aver paura: partorirò in Cina, andrà tutto bene, ce la posso fare!

martedì 24 novembre 2015

UN'AYI TUTTA PER ME



L’ayi… quella mitica creatura che è un misto tra una bambinaia, una signora delle pulizie, una cuoca e una tuttofare…
Ci sono taitai che ne hanno una per le pulizie e una per tenere i bimbi, sette giorni su sette. Ce ne sono altre che la fanno venire solo per qualche oretta a settimana, giusto per aiutare a mantenere pulita la casa. Certo è che le famiglie di laowai che non si appoggiano in qualche maniera all’ayi sono davvero poche, anche perché il fatto di poterne assumere una senza spendere un capitale è uno dei lati positivi del vivere in Cina.

Fino a un anno fa io ne avevo assunta una solo per le pulizie, veniva alcune volte a settimana per quelle che, in origine, dovevano essere tre ore (ma che poi diventavano sempre due): una signora gentile e dolce che però, se trovava un giocattolo per terra, lo lasciava lì senza pensare che forse per pulire il pavimento bisognava raccoglierlo, lei semplicemente ci faceva il giro intorno. Insomma, una signora gentile e dolce che però faceva il minimo indispensabile!

Quando ho saputo di aspettare un bimbo ho cominciato a pensare di cambiarla, mi sono fatta tentare dai suggerimenti delle amiche “Prenditi una brava ayi che con tre figli ne avrai bisogno! Falla venire ogni giorno! Magari anche tutto il giorno!”
L’idea di avere una persona in casa tutto il giorno non mi piaceva, quindi ho deciso che, sì, avrei cercato una nuova ayi, ma solo per mezza giornata al mattino.

Io non ho fatto molti colloqui… sono andata sulla fiducia ed ho scelto una signora raccomandatami da un’amica (sto diventando un po’ cinese… le raccomandazioni hanno un peso determinante!!), anche se la prima volta che l’ho vista non sapevo che pensare…non è facile fare un colloquio di dieci minuti con una persona che conosci per la prima volta e decidere se potrà andar bene, se ci sarà feeling, se si andrà d’accordo. Perché, okay, si tratta di una persona che lavora per te, ma è comunque qualcuno che vivrà in casa tua quattro o cinque ore ogni giorno, che metterà i vestiti a posto nei tuoi armadi, che prenderà in braccio e ninnerà il tuo bimbo: non dico che deve diventare la tua migliore amica ma per lo meno ti devi fidare e devi trovare piacevole la sua presenza in casa!
Ho visto ayi di tutti i tipi… ci sono quelle rampanti che ti si presentano coi tacchi (ecco, magari anche no…) e quelle che sembrano appena arrivate dalle campagne, che escono a portare i bimbi al bus in ciabatte e per fare le faccende mettono i salvamaniche. Io volevo una via di mezzo: una signora di mezza età né troppo avvenente (prevenire è meglio che curare!) né troppo trasandata. Nan Ying, la signora che poi è diventata la mia ayi, si è presentata vestita bene e mi è piaciuta, anche se mi sembrava un po’ più vecchia della sua età, ero quasi imbarazzata a chiederle di fare lavori pesanti. Ma mi sono ricreduta: la prima settimana mi ha rivoltato la casa tanto da meritarsi il nomignolo di Wonder Woman!

Per chi non è abituato i primi tempi è difficile stare a guardare una persona che lava, stira, pulisce, rassetta, mette via la roba, sparecchia, sistema: la gestione della casa diventa sua (è per quello che l’hai assunta dopotutto) e se uno ha la mania del controllo la situazione si fa difficile! Ma dopo i primi tempi devo ammettere che ci si prende quasi gusto e scatta la sindrome del “lascia perdere, fa domani ayi!”, malattia gravissima che ti spinge a non sciacquare nemmeno un bicchiere o spostare un calzino. I bambini sono i primi ad imparare che non serve mettere via i giochi, tanto domani fa ayi (e questo non è un bene per il povero genitore che cerca di insegnar loro un po’ di abitudine all’ordine!).

Il fatto di poter parlare un poco di cinese mi aiuta nel processo di reciproca conoscenza: qualche domanda, una chiacchieratina, giusto per sapere un po’ di più della persona che ti gira intorno tutta la mattina, per non ridursi solo a mostrarle lo schermo del telefonino con la traduzione dei lavori da fare!

Così adesso, grazie all’arrivo di Dong Sheng, in casa nostra circola un personaggio in più: Wonder Woman la super ayi!



mercoledì 21 ottobre 2015

OSPEDALE CINESE PARTE PRIMA


Sono emozionata quando entro nel taxi e dico all’autista di portarmi al Kowloon Hospital, che in cinese si dice Jiu Long Yi Yuan (e ovviamente il tassista non mi capisce e devo ripetere la destinazione mille volte… ma in nove mesi avrò tempo di imparare a pronunciarlo alla perfezione!).
Io e il Papi Viaggiante andiamo dritti al secondo piano, dove sappiamo essere il “VIP”. 
Mi avvicino al bancone dietro al quale stazionano alcune giovani infermiere biancovestite e, timidamente, dico che sono incinta.
“Del mio terzo figlio!” aggiungo in fretta, convinta che questo possa giustificare in parte i miei capelli striati di grigio e le rughette intorno agli occhi: come ho già detto, il fatto di essere una gravida ultraquarantenne (cosa che in Italia non mi farebbe batter ciglio) qua in Cina mi fa sentire un po’ troppo fuori dal coro (e, come leggerete, in ospedale non mancheranno mai di farmi sentire ancora più vetusta).
“Signora, noi cominciamo le visite dopo la dodicesima settimana!” mi dice l’infermiera, dandomi un foglio di carta con tutto il calendario delle visite, settimana per settimana, scritto in inglese.
“Ah… OK…” rispondo perplessa. In Italia ti fanno l’eco già a sei settimane… 
Torniamo a casa con le nostre belle cartuzze: il calendario degli esami da fare, il numero di telefono da chiamare tra qualche settimana, quando prenoterò la mia prima visita, un preventivo dei costi di visite prenatali e parto (che risulta essere un decimo rispetto a quello che mi sarebbe costata la clinica di Shanghai).

A casa facciamo brainstorming: il costo dell’ospedale è accessibile, se alla prima visita l’impressione sarà buona possiamo pensare di portare avanti la gravidanza e partorire in Cina! Decidiamo anche che, visto che in luglio sarò già di sette mesi, la vacanza italiana per quest’estate salta e che trascorreremo le ferie a Suzhou (ipotesi che mi terrorizza ma che alla fine si rivelerà non essere così traumatizzante).

Non mi resta che aspettare che passi il fatidico primo trimestre di gravidanza, dopo il quale potrò finalmente vedere un dottore. Meno male che è il terzo figlio, penso, altrimenti a quest’ora sarei coi capelli dritti dall’ansia! Invece io mi sento tranquilla e, nel frattempo, andiamo anche in vacanza a Singapore. Mi va di lusso, visto che appena tornati iniziano le nausee… 
“Se hai le nausee vuol dire che la gravidanza procede bene!” mi diceva la mia ginecologa. Eccheculo! Mi dico io, pensando a tutte le mie amiche che hanno avuto gravidanze perfette pur senza aver mai avuto un minimo disturbo di stomaco.

Tra un panino al burro e una lattina di coca cola (uniche cose che riesco a mangiare e bere senza dover correre ad abbracciare la tazza del WC), una crisi e un momento di sconforto, le settimane passano e finalmente arriva il momento di chiamare per fissare la prima visita…

venerdì 16 ottobre 2015

IO DI NUOVO INCINTA

Me lo sento. Qualcosa sta succedendo lì dentro. Devo andare a cercare un test di gravidanza...
Passo davanti alla farmacia ma non ho il coraggio di entrare e provare a chiedere... qua in Cina alla mia età sono già nonne e, scioccamente, mi vergogno. Poi entro al Mannings, una catena che vende articoli per l'igiene personale, creme, prodotti di bellezza. E sono fortunata: ho addirittura cinque tipi di test da poter scegliere, perfino quello che ti dice a che settimana sei. Non mi serve: so benissimo a che settimana sono (anche perché ogni minuto che passa sono più convinta di essere davvero incinta!).
Pago facendo finta di niente, infilo velocemente la confezione in borsetta e corro a casa. Dopo un primo minuto di incertezza del test, che mi fa pensare “Fiuù l'ho scampata bella!” una sottile lineetta compare. Sarà pure sottile, ma indubbiamente c'è.
“Guarda che sei proprio incinta!” mi dice mio marito. E mi guarda con una faccia misto tra commosso, pesce lesso e stupefatto.
“Sono contento!” mi dice, e manca poco che si metta a saltellare per la casa. Io invece sono caduta dalle nuvole (e mi sono fatta pure male!) e mi devo riprendere: devo raccattare tutti i pensieri che sono schizzati in un caos amorfo nel mio cervello e riprogrammare nuovamente tutta la mia vita intorno a questa nuova vita che mi ha preso di sorpresa, ma che indubbiamente mi sento già di amare.
Io di nuovo incinta. Del terzo figlio. A quarantadue anni. È decisamente una notizia da metabolizzare.

Se fossi in Italia, a quest’ora sarei già al telefono a chiamare la mia ginecologa. Ma sono in Cina… nessun dottore di fiducia da poter contattare al volo.

Mi incollo ad internet e vado a vedere i siti delle più famose cliniche di Shanghai… il prezzo di un parto è proibitivo! La copertura assicurativa per la maternità di solito è un pacchetto a parte, non compreso nei piani standard. La fai se proprio stai programmando un figlio, anche perché bisogna far passare il cosiddetto “periodo di latenza”, ovvero un lasso di tempo (variabile a seconda delle compagnie assicurative, può essere di mesi o più di un anno) nel quale, dopo aver firmato la polizza, non puoi restare in dolce attesa pena l’esclusione della copertura. Noi non programmavamo proprio un bel niente, quindi (ovviamente) la copertura per maternità l’avevamo scartata a priori. 

Mi metto a scribacchiare una sorta di diagramma di flusso con le varie possibilità: potrei tornare in Italia a partorire e non sarebbe male avere il mio ospedale conosciuto, la famiglia vicino, la mia casa comoda. Ma quest’anno la Pupella comincia la Primary School, come faccio a sradicarla per sei mesi proprio in un momento così cruciale? Dovrei iscriverla alla scuola italiana e poi, quando torniamo qua dopo il parto, farla cambiare di nuovo? Troppo complicato, troppi cambiamenti. Il Papi se ne esce con una proposta: tu vai in Italia a partorire e io sto qua coi bimbi. Aaaargh! Mi si stringe il cuore alla sola idea: la mia indole di mamma italiana si ribella con tutta se stessa a questa ipotesi.

Un’altra possibilità sarebbe quella di partorire in un ospedale cinese, qui a Suzhou: vicino a casa mia ce n’è uno conosciuto dagli stranieri, nel quale c’è una “sezione VIP” dove parlano inglese, si chiama Kowloon Hospital e forse sarebbe il caso di prendere qualche informazione, vedere i costi e, soprattutto, andare a dare un’occhiata per avere una prima impressione. Vado a vedere il sito, ma l’unica pagina in inglese spiega davvero poco. Mando una mail, ma dopo parecchi giorni non ho ancora ricevuto risposta. L’unica è andare di persona. Intanto sono già all’ottava settimana…

lunedì 12 ottobre 2015

BENVENUTO DONGSHENG, SORPRESA DELLA CINA!


L'ho scritto tante volte sulle pagine di questo blog: l'espatrio in Cina mi ha dato tanto.
Ma quello che non mi sarei aspettata da questa esperieza è la  nuova vita che mi ha colto di sorpresa ed ha deciso, in perfetta autonomia, che voleva scendere su questa terra e nascere nel Celeste Impero.
Non ne ho avevo ancora scritto nulla sul blog, per una sorta di scaramanzia, riservatezza, pudore.
Ma ora che è nato, che è qui accanto a me e dorme nella sua culletta posso dirlo: benvenuto piccolo, terzo tesoro della famiglia, che su queste pagine chiamerò col suo nome cinese, Dongsheng, che significa cresciuto in oriente. 
Ho concepito, portato per nove mesi e partorito il mio terzo figlio in Cina. Per certi versi è stata un’avventura ed ora che sono tranquilla, che la gravidanza è trascorsa senza intoppi, che durante il parto tutto è andato liscio posso riprendere il computer in mano e scrivere, condividere con voi i momenti (alle volte esilaranti) di questo periodo così particolare. Vorrei raccontare di come viene vissuta una gravidanza in Cina, di come mi sia sentita vecchia ad avere un figlio dopo i quarant’anni in un paese dove le donne della mia età sono già nonne, della nostra scelta di partorire in un ospedale cinese anziché in una scintillante clinica a Shanghai… e tante altre cose. Se vi va, restate sintonizzati. Per me raccontare gli aneddoti di questa gravidanza sul blog sarà come fare un dono a Dongsheng, ma contemporaneamente spero di riuscire a strapparvi una risata (o una lacrimuccia). Tra una poppata e l’altra, sul computer nuovo di zecca che il Papi Viaggiante mi ha regalato dopo la nascita (sì lo so… altri mariti regalano parure di gioielli, ma io sinceramente non li metterei mai e il computer mi è molto più utile!) sto imbastendo la trama di questa nuova storia…


venerdì 18 settembre 2015

ITALIANI MADE IN CHINA


Non amo molto la televisione. La guardo se qualcun altro in famiglia si prende la briga di accenderla, ma quando non c'è nessuno in casa  nemmeno mi accorgo della sua esistenza e per me potrebbe restare spenta per sempre. Però ultimamente mi sono appassionata ad un reality show della cui esistenza ho scoperto casualmente grazie ad altre amiche ex espatriate in Cina che hanno condiviso la notizia su facebook. E così mi sono vista tutte le puntate, disponibili in differita sul sito del canale TV.

Il reality si chiama “Italiani made in China” ed è stato trasmesso qualche mese fa su un canale del digitale terrestre, racconta la storia di sei ragazzi cinesi, nati in Italia o emigrati nel nostro paese da piccoli, che vengono spediti un mese in Cina a riscoprire le loro radici e la loro cultura.

Alcuni di loro hanno una solida famiglia alle spalle, che ha insegnato loro la tradizione ed i valori della cultura cinese, altri invece hanno avuto una storia familiare difficile ed hanno attraversato non pochi problemi. Poi ce n'è una che ha nome e cognome italiani: è stata adottata da piccola da una famiglia romana e, di conseguenza, si sente italiana al 100%.

E' interessante e divertente vedere come, essendo cresciuti nel nostro paese, i sei ragazzi cinesi di seconda generazione parlino perfettamente l'italiano (anche con la cadenza del posto in cui vivono), si vestano all'italiana (alle volte sconcertando non poco i loro genitori) e adirittura, a volte, non sappiano nemmeno parlare bene il mandarino. Molti di loro hanno lasciato la Cina da piccolissimi e non si ricordano assolutamente nulla di questo sconfinato e complesso paese.

Il loro viaggio inizia a Shanghai, dove la produzione del programma mette loro a disposizione un appartamento. Ecco che allora cercano di far abituare Francesca, la ragazza adottata, a fare colazione “alla cinese” con i noodles, mentre lei vorrebbe mangiare latte e biscotti, oppure si attivano per trovare un lavoretto: come Alessandro che, a Firenze, è cuoco nel ristorante di famiglia e sarebbe molto interessato a fare esperienza in un vero ristorante cinese o Lucia, che in Italia fa la parrucchiera. Alex invece vorrebbe scoprire le origini del Kung Fu tramandato dai figli maschi della sua famiglia, mentre Connie scalpita per rivedere la sua nonna, che l'ha accudita durante i primi anni in Italia per poi tornare in Cina quando lei è diventata grande e che quindi non vede da tantissimi anni.

Tra scoperte e riscoperte, viaggi in pullman per visitare la Cina o cercare parenti quasi dimenticati, momenti divertenti o davvero toccanti, i sei ragazzi cercano di far luce dentro di loro: cosa vogliono per il futuro? Si sentono più cinesi o italiani? Tornerebbero a vivere in Cina?
La risposta non è scontata né facile: si sentono profondamente connessi alla cultura del loro paese ma, contemporaneamente, si sentono anche italiani (nonostante abbiano sperimentato il razzismo da ragazzini e lo abbiano sentito come profondamente ingiusto, nonostante quasi tutti i loro amici in Italia facciano parte della comunità cinese, nonostante tra loro quasi tutti preferiscano l'idea di fidanzarsi con un connazionale).

Ho trovato questa serie divertente, illuminante, ho riso ed ho pianto: mi hanno colpito davvero tantissimo le complesse esperienze alle spalle di questi ragazzi e consiglio la visione a tutti quelli che, per partito preso, non sopportano la presenza degli emigrati cinesi nel nostro paese. Perché capire la diversità di una cultura e la storia alle spalle della gente non te la farà forse amare, ma per lo meno comprendere un po' meglio.

Se siete curiosi, questo è il link per vedere le puntate. Buona visione!


Qui invece trovate la sigla, il remake in cinese di "Sono un italiano" cantata da Toto Cutugno. Dedico questa canzone al mio amico ed ex insegnante di cinese Ciccio, che vive da più di trent'anni in Italia ed ha ottenuto da poco la cittadinanza italiana!





giovedì 27 agosto 2015

E ADESSO MI TOCCA ANCHE IMPARARE IL COREANO?

Nella scuola dei miei figli vanno moltissimi ragazzini coreani. Lo sapevo già, ma quando, alla fermata dello scuolabus, ho visto che erano praticamente tutti di quella nazionalità (e che probabilmente le mamme si conoscevano già tutte tra di loro) ne ho avuto la certezza.
Ecco perché quindi, quando dalla scuola sono iniziate ad arrivare le comunicazioni delle varie riunioni per i genitori, ho iniziato a trovare con me stessa milioni di scuse per non andarci: “La scuola è lontana, mi va via tutta la mattinata, chissà se sono realmente importanti, ho mille cose da fare...”. Baggianate. La verità era che sapevo benissimo mi sarei trovata in minoranza, in mezzo a mamme di una stessa nazionalità e che parlano la stessa, incomprensibile (per me) lingua e che formano un gruppetto già cementato dalla conoscenza reciproca. Una nuova sfida, insomma. Un nuovo balzo fuori dalla mia rassicurante zona di comfort. Ormai mi conosco abbastanza bene e smaschero in fretta questi meccanismi di difesa, quindi mi sono presa una volta in più a calci nel didietro e ho deciso di andare ad una di queste benedette riunioni.
La scuola ha organizzato un pullman che si fermava in alcuni compound, partenza ore nove da sotto casa. Sono arrivata in anticipo ed ho visto un manipolo di signore che aspettavano “devono essere loro” ho pensato “che faccio, mi avvicino o no?” Una di loro mi ha sorriso e mi ha fatto un gesto e così sono andata. Qualche saluto, poi hanno ricominciato a conversare tra loro in coreano. È arrivato il bus, siamo salite e loro si sono sedute tutte insieme, immerse in una fitta conversazione. Io mi sono accomodata su uno dei sedili davanti, da sola.
“Ecco!” ho pensato “tutti questi anni a studiare il cinese e adesso mi ritrovo immersa in chiacchiere in una nuova lingua e non capisco una sola parola di quello che si dicono! Almeno se mi ritrovo in un gruppo di mamme cinesi che parlano tra loro il senso generale del discorso riesco a capirlo... sta a vedere che ora mi tocca iniziare a studiare il coreano?”
Alla fermata dopo è salito un nuovo gruppetto ed una signora si è seduta accanto a me, sorridendomi timidamente. Incredibile! Ho cercato di capire se i posti erano finiti o se la sua era stata una scelta deliberata, ho cercato di sbirciare lo schermo del telefono sul quale si è messa a chattare per vedere se scriveva in caratteri cinesi o in alfabeto coreano.
Quando ha finito di scrivere ed ha messo via il cellulare, mi sono girata verso di lei e le ho chiesto in inglese:
“Sei coreana?”
“No, sono cinese!”
Sospiro di sollievo! Un'altra “straniera” come me! Ci siamo messe a chiacchierare ed ho scoperto che si sono trasferiti da poco da Pechino, che suo marito è italiano e che, in Italia, vivono nel nostro stesso comune! Accipicchia se è piccolo il mondo!
A scuola ho potuto rendermi conto di quanto gli iscritti occidentali siano una minoranza: alla riunione ero io l'unica mamma non asiatica. È un trend in crescita, mi hanno detto, anche in altre scuole internazionali: evidentemente gli stranieri provenienti dai paesi dell'ovest a Suzhou sono sempre di meno?
In ogni caso, al rientro, ho avuto modo di scambiare qualche parola anche con altre mamme, di iniziare a conoscere qualche faccia. È stata un'esperienza positiva, indubbiamente, ed ora che ho rotto il ghiaccio non mi sento più così intimorita. Magari alla fermata del bus mi ci scappa anche qualche chiacchiera (non ancora in coreano!).
P.s. La parola nell'immagine vuol dire “buongiorno”

venerdì 7 agosto 2015

LINGUA MISTA



Portare due figli di (allora) venti mesi e nemmeno quattro anni in un paese straniero dove si parlano ben due altre lingue (cinese nella vita quotidiana e a scuola, inglese con gli altri expat e a scuola) ha i suoi risvolti divertenti.
Dopo tre anni i miei figli parlano un miscuglio di lingue che a volte è divertentissimo... io li capisco ma mi chiedo se i miei parenti italiani riuscirebbero a cavarci fuori un significato logico! Spesso nella frase mescolano parole in inglese e (qualche volta) in cinese e anche la struttura della frase è tradotta direttamente da queste due lingue.
Si va dalla più “banale”:

  • Mamma, oggi la teacher ci ha chiesto di fare un drawing e disegnare flowers e bee

A strutture più sofisticate come:

  • A cosa serve questo per? (traduzione diretta di “what is this for?”)
  • Mamma stavo guardando per te! (traduzione di “I was looking for you” - ti stavo cercando)
  • Cosa parlavi di? (“what were you talking about?”)
  • Il mio nome è... (“My name is...”, la forma italiana “Mi chiamo...” non la usano quasi mai)

Poi ci sono le chicche che solo chi ha studiato un po' di cinese può capire:

  • La mia pancia ha fame (“Wo duzi e le” - traduzione letterale del cinese. Significa ho fame!)
  • Tu sei il mio compagno di mamma (Ni shi wo tongxue de mama, sei la mamma del mio compagno)

Per fortuna ho notato che quando partiamo per l'Italia qualcosa nel loro cervello scatta e iniziano a parlare solo in italiano (già sull'aereo a dir la verità! E questo mi sconcerta!), come se sapessero che la loro multilingua sarebbe difficilmente compresa, che è un modo di comunicare adatto solo alla nostra vita di Suzhou.
Per il momento quindi non mi preoccupo troppo... il loro cervellino è davvero pieno zeppo di cose e non voglio mettermi a fare la pedante e correggerli continuamente, anche se cerco (cerco!) di parlargli solo in italiano, sebbene mi venga spesso spontaneo usare la stessa multilingua! E allora sì che ne escono delle belle!





venerdì 17 luglio 2015

ESTATE A SUZHOU


Quest'estate niente fuga in Italia, per noi: la trascorreremo a Suzhou. Idea che, all'inizio, ci terrorizzava: risuonavano nella nostra mente racconti di giornate torride, nelle quali non puoi fare altro che restare in casa col condizionatore acceso, in totale (o quasi) solitudine dato che durante le ferie quasi tutti gli stranieri tornano in madrepatria. E poi mi ricordavo la mia prima volta qui: era il luglio 2012 ed eravamo venuti io e il Papi viaggiante da soli, per fare un giro di ricognizione e cercare casa. Rammento che, arrivata dall'Italia e quindi non abituata al clima della zona, avevo davvero sofferto la calura: a turno io e il maritino ci eravamo sentiti male in strada, costretti a bere una bibita fresca e stazionare in un bar coi piedi alzati o, peggio, sedersi sul primo gradino di Shanghai per cercare di recuperare il fiato.

Dunque, come dicevo, ero un po' preoccupata. Ho cercato di correre ai ripari: ho iscritto i bambini al centro estivo del loro asilo, così almeno luglio è coperto (immaginare di tenerli in casa praticamente tutto il giorno, mentre fuori ci sono 40 gradi umidi, era un'idea che mi atterriva!). In agosto faremo un po' di ferie assieme al Papi e poi con metà mese i pargoli cominciano già la nuova scuola, le vacanze sono davvero brevi in effetti.
Ma, complice un inizio luglio piovoso, le temperature per ora non sono così insopportabili, anzi spesso soffia un venticello che permette di star fuori senza sudare.

Devo confessare che la prima settimana di luglio, quando anche gli ultimi ritardatari se ne sono andati, la sensazione di “abbandono” è stata forte: sembrava di essere gli unici rimasti! Ma poi ci siamo ripresi: non siamo poi così soli! Un paio di amici sono ancora a Suzhou e molti mariti hanno trascorso solo un paio di settimane in terra natia ed ora sono di ritorno. E poi ci sono i bambini cinesi, coi quali ormai i miei figli giocano senza problemi, dato che possono comunicare in mandarino (che invidia!).
E così, mi ritrovo a godere dell'atmosfera estiva del compound: la mattina accompagno i bambini alla fermata dello scuolabus (ormai deserta: non ci sono più le decine di pullman granturismo che portano i ragazzi nelle varie scuole internazionali!), poi vado a fare un po' di spesa e magari mi accomodo sulle sedie in pseudovimini della panetteria-caffè, assaporando una quiete inconsueta ma molto piacevole.

Estate a Suzhou significa voli di libellule (quante ce ne sono che svolazzano in giro!) e frinire di insetti nei cespugli (un frinire forte, insistente, un suono che sa proprio d'estate e che mi piace moltissimo!). Significa pomeriggi nella piscina del compound, che quest'anno mi ricorda molto lo stabilimento balneare nel quale andavo da piccola: piena di divieti! Non si possono cambiare i bambini se non negli spogliatoi (ma non mi lasciano portare il Torello in quello delle donne: e quindi se sono sola come faccio lo mando a farsi la doccia in autonomia??), non si può mangiare vicino alla piscina (hanno “attrezzato” con un tavolino una specie di terrazza), non si possono lasciare le scarpe in giro ma solo metterle negli appositi spazi, eccetera eccetera... sono così rigidi che non sembra nemmeno di essere in Cina!
Tornare a casa poi coi capelli bagnati e la palla gonfiabile in mano sa proprio di vacanza e le stradette del compound sembrano quasi quelle di Grado o Bibione! (di cosa è capace la fantasia, eh?)

giovedì 9 luglio 2015

A SCUOLA DI NOTTE




Questo, per mia figlia, è stato l'ultimo anno di asilo: dal prossimo anno comincerà le elementari. Di conseguenza, le ultime settimane di scuola sono state ricche di avvenimenti importanti (e, perché no, commoventi!) come la cerimonia della graduation (con tanto di toga nera e cappello da laureanda, mica si scherza da queste parti!) e la recita di fine anno.

Uno degli appuntamenti più attesi, organizzato appositamente per i bambini dell'ultimo anno, è lo sleep-over a scuola, ovvero un'intera nottata da trascorrere in classe!
Il programma era davvero ricco: i bambini sarebbero rimasti a scuola nel pomeriggio, entro le cinque i genitori avrebbero dovuto portare del cibo da condividere per la cena (la scuola avrebbe preparato hot dog e frutta) e avrebbero dovuto salutare i bambini.

Dopo cena era prevista la visione di un film a cartoni in biblioteca, poi la doccia (e per chi voleva un bagnetto in piscina, quella bella bella della foto sopra!), lo story- time e poi, finalmente (e sperabilmente!) nanna!

Bello, no?

Quando ha saputo dell'evento, circa due settimane prima, la Pupella mi ha detto: “Ma io ho paura di dormire a scuola senza la mamma!”
In effetti, se escludiamo un paio di notti dalla nonna, non ha mai fatto uno sleep over né da amici né da parenti. Mi seccava dar corda alle sue paure, ma nello stesso tempo non volevo sminuirle, dopotutto mi sembravano anche naturali. Ma non volevo per nessuna ragione cedere e dirle “Allora tu se vuoi puoi tornare a dormire a casa!”, poiché la nottata a scuola mi sembrava un'occasione d'oro sia per divertirsi che per crescere. Ho scelto la via pratica e le ho detto che, con calma, appena avremmo avuto un momento tutto per noi, ci saremmo sedute e avremmo analizzato tutte le sue paure (tra le quali il timore di svegliarsi di notte e non trovare nessun adulto da chiamare per un bisogno), cercando per ognuna di trovare una soluzione pratica.

Ma i bambini sono ricchi di risorse e sanno sempre stupirci: dopo qualche giorno mi ha detto tutta contenta che non aveva più nessun timore di dormire a scuola. Davvero? E come mai? Semplice: la sua amichetta le ha detto di non preoccuparsi, che avrebbe portato lei una lucetta da poter tenere accesa la notte. E questo è bastato per rassicurare mia figlia e farla sentire confidente.
Io ero stupefatta: mi immaginavo ore di dialoghi e rassicurazioni tra mamma e figlia (magari coinvolgendo anche il pratico e super logico papà), invece le ragazzine se la sono cavata tra di loro, dimostrando una capacità di problem solving che è carente perfino in molti adulti!

E così è stato: è rimasta a scuola tutta felice, senza alcun timore. Nessun bimbo ha pianto e si sono addormentati tutti abbastanza in fretta (per poi svegliarsi già alle sei e mezzo del mattino e iniziare subito a giocare!!!).

Questa settimana la scuola finisce, molti amici se ne sono già andati, per noi invece sarà un'estate diversa in quanto resteremo a Suzhou. Ma di questo vi parlo nel prossimo post!

giovedì 7 maggio 2015

VOLERE E' POTERE: INTERVISTA AD ALESSANDRA

Le donne... solitamente sono quelle che “accompagnano” il marito, al quale è stata proposto un contratto all'estero, spesso lasciando in stand by la loro vita professionale fino a data da destinarsi.
Alcune gioiscono di questo periodo da “taitai”, altre sentono fortemente la mancanza di un ruolo e, come dire, si annoiano. Spesso non è facile trovare una soluzione a questo disagio.
È per questo che, quando mi è arrivata una mail da Alessandra, una ragazza italiana approdata da poco a Suzhou, che mi informava di aver iniziato ad offrire delle lezioni di cucina italiana, ho pensato “Ma va' che bella iniziativa! È stata proprio coraggiosa!” e da lì è sorta l'idea di farle una specie di intervista, testimoniando che, se si vuole davvero fare qualcosa, una strada si trova!
Ho iniziato col chiederle di presentarsi e raccontare un po' di sé:

“Mi chiamo Alessandra, ho 34 anni e sono di Milano. Vivo a Suzhou dal giugno 2014 con mio marito e la mia bimba di quasi tre anni. È la mia prima esperienza di espatrio, ma essendo mio marito greco, l'aria internazionale in famiglia si respirava già!”

In Italia lavoravi? Di cosa ti occupavi?

“Ero “cacciatrice di teste”. Dopo la nascita della bambina e il periodo di maternità, però, è stato difficile per me trovare un nuovo lavoro. Quando è arrivata la proposta di venire in Cina mi son detta che magari avrei trovato qualcosa da fare qui. Per ora non me la sento di trovare un lavoro a tempo pieno, vorrei riuscire a stare con la mia bimba (che in marzo inizierà a frequentare l'asilo). Ma la voglia di lavorare e darsi da fare è tanta e, visto che mi piace cucinare, ho deciso di intraprendere un'attività che avesse a che fare con il cibo. Ho iniziato a proporre la mia collaborazione ad un bar vicino al mio compound, per il quale cucino ogni settimana delle torte in “conto vendita”. Poi ho iniziato un'attività di lunch delivery, consegnando pasti in stile italiano (lasagne, risotto) al giro di amicizie internazionali all'interno del mio compound. Da cosa nasce cosa e mi è stata proposta la collaborazione con una pizzeria gestita da una signora cinese, sempre per fare dei dolci. Ma la proprietaria dopo un po' ha iniziato a lamentarsi perché, secondo lei, le mie torte erano troppo care. Così la collaborazione è terminata: io ci metto davvero l'anima in quello che faccio e compro ingredienti importati di prima qualità, non mi posso permettere di svendere i miei dolci. Purtroppo mi sono resa presto conto che qui in Cina il concetto di “qualità” è qualcosa su cui devono lavorare ancora. Adesso ho iniziato anche un servizio di “catering” per le feste e devo dire che sono proprio contenta perché vedo un bel riscontro da parte della gente!”

Da cosa si è sviluppata poi l'idea di proporre dei corsi di cucina italiana?

“E' iniziato un po' per gioco: tramite il mio network di conoscenze internazionali ed il passa parola, mi sono resa conto che poteva esserci un interesse da parte delle persone a frequentare delle lezioni di cucina italiana. Così ho iniziato ad organizzare dei corsi a casa mia: ogni settimana ospito due gruppi ai quali propongo un menù che va dal primo al dolce. Punto molto sullo stile italiano (del quale vado molto fiera!): quindi ingredienti di ottima qualità e di importazione ed eleganza nel servizio.”

Come si svolge esattamente una lezione?

“Le partecipanti arrivano verso le dieci e prima di tutto ci conosciamo reciprocamente davanti ad un  buon caffè di benvenuto e una torta fatta in casa. Io ho potuto portarmi tutti i miei servizi dall'Italia, quindi offro il caffè nelle belle tazze decorate a mano dalla mia mamma (che è pittrice). Ci tengo molto alla cura dei particolari e per ogni partecipante ho preparato un kit di utensili personalizzato (ciotola, mattarello, strofinaccio). Durante la lezione insegno loro un primo (per ora abbiamo fatto la pasta fatta in casa, prossimamente voglio fare le lasagne), un secondo e un dolce. Le partecipanti hanno tutte la possibilità non solo di vedere come si preparano i diversi cibi, ma anche di fare e io cerco di seguirle una ad una. Poi si consuma insieme il pasto, in un atmosfera elegante e curata, col sottofondo di musica classica. Ovviamente le partecipanti possono portare a casa quello che non viene consumato, in modo da condividere con la loro famiglia il piacere del buon cibo italiano!”

Il kit preparato da Alessandra

Alessandra, ti ringrazio molto per la tua disponibilità a condividere con noi la tua esperienza. Ti chiedo un'ultima cosa, una mia curiosità: nel tuo impatto con la Cina, cosa è stato più difficile da superare e cosa invece si è rivelato più semplice di quanto credevi?

“La parte più difficile ha sempre a che fare col cibo: mi manca da matti il buon gusto delle cose italiane. Sogno la mozzarella di bufala, il buon prosciutto, la qualità dei nostri ingredienti. Non sono una grande appassionata della cucina asiatica e quindi soffro la mancanza di tutto quello che posso trovare in Italia.
La cosa che mi spaventava di più e che invece, a conti fatti, ho realizzato essere più facile di quanto credessi, è il fatto di essere capace, in caso di emergenza, di comunicare con un medico. Per fortuna non ci è mai successo niente di grave, ma il fatto di aver visto che anche qui si trovano medici che parlano inglese e che, tutto sommato, si riesce a spiegar loro senza troppa fatica i sintomi ed i problemi, mi ha sollevato. Anche se la paura di affrontare l'emergenza in un paese straniero resta sempre.”

Spero che la storia di Alessandra possa ispirare tutte quelle donne che vorrebbero fare qualcosa ma non trovano il coraggio o l'input giusto per iniziare.  E vi lascio con una bella frase che ho trovato sul web:
“Se vuoi veramente fare qualcosa, troverai il modo. Se non vuoi, troverai una scusa.”

lunedì 13 aprile 2015

UNA DOMENICA NELLE PIANTAGIONI DEL TE'

Questo week end abbiamo avuto l'occasione di partecipare ad un'attività nuova per noi: la raccolta delle foglie di tè verde nelle colline sul lago Tai.
La gita è stata organizzata dalla scuola di cinese frequentata dal Papi Viaggiante: iscrivendosi e pagando una quota a persona si aveva diritto al viaggio sul pullmino affittato, alla raccolta del tè nelle piantagioni ed al pranzo. Non ci abbiamo pensato due volte: non credo si facile per gli stranieri riuscire ad organizzare da soli simili attività ed il supporto della scuola è stato davvero prezioso.
Siamo partiti dal SIP di buon'ora e dopo tre quarti d'ora di superstrada il paesaggio ha iniziato a cambiare, i complessi di grattacieli si sono fatti sempre meno numerosi e sono comparse le colline. Ancora mezz'ora abbondante di strada per raggiungere il Tai Hu, uno dei laghi più grandi della Cina, e la Xishan Scenic Zone, un'isola collegata alla terraferma da una strada sull'acqua.
Quest'isoletta è una delle zone turistiche di Suzhou: vi si trovano ristorantini, case delle vacanze, e molti di quei parchetti tematici che abbiamo visitato con le gite della scuola.
Un'altra delle attività che si possono fare qui è l'auto-raccolta di frutta (o tè) direttamente dai contadini.
Noi ci siamo diretti in un piccolissimo paesino nella campagna, dove una famiglia di contadini ci aspettava per portarci sulla collina dove si trovano le piantagioni. Abbiamo trascorso così un'ora e mezza tra i cespugli della Camelia sinensis (nome scientifico della pianta), raccogliendo le morbide foglioline delle gemme, godendo del sole e del fatto di trovarsi immersi in una vegetazione un po' brulla ma rilassante.
Tornati alla casa dei nostri ospiti, ci è stato offerto un pranzo ruspante e casalingo preparato con le verdure del loro orto e uova e polli di cortile. C'erano anche alcune delle specialità del lago Tai: gamberetti, minuscoli pescetti bianchi e conchiglie di lago. Il tutto ovviamente annaffiato da abbondante tè verde.


Dopo il pranzo il padrone di casa ci ha mostrato come si “cucinano” le foglie appena raccolte in un wok rovente, operazione che dura circa un'ora e che ha lo scopo di togliere l'umidità al raccolto.


In più di dieci persone abbiamo raccolto nemmeno la metà di quello che raccoglie un contadino nel stesso periodo di tempo! Ci hanno raccontato che nel periodo della raccolta delle gemme adatte per fare quel tipo di tè, che dura appena qualche giornata, lavorano quindici ore al giorno.
Anche la Pupella e il Torello hanno passato una splendida giornata: hanno fatto amicizia coi bimbetti della casa di fianco ed hanno trascorso tutto il tempo a rincorrersi con uno spruzzino, sparare acqua ai pesci della vasca e giocare ai travasi.

Siamo tornati a casa stanchi morti ma contenti: è stata davvero una bella esperienza, per una volta tanto “genuina” e non permeata da quella sensazione di “fake” che spesso si prova in Cina. Una giornata nei campi ci voleva proprio dopo un inverno grigio e freddo trascorso tra i palazzi di cemento!

mercoledì 1 aprile 2015

QUELLO CHE L'ESPATRIO MI HA DATO

Lo ammetto. Ho avuto un periodo di crisi.
Sarà stato il cielo perennemente privo di colori, uniforme e grigio. Sarà stata la fine dell'inverno, la primavera che sembrava non arrivare mai, il freddo umido ancora nelle ossa. O saranno state altre vicende personali delle quali magari vi parlerò più avanti...
… ma la Cina aveva davvero iniziato a darmi noia. Perfino le cose più piccole ed insignificanti cominciavano a darmi fastidio.
E mi risuonavano nelle orecchie le parole di chi avevo conosciuto appena arrivata: “Ah, tu ti trovi bene perché sei qui da poco... vedrai tra qualche anno come sarai stufa! La Cina ti stanca!”
Sono già arrivata a quello stadio? pensavo frastornata.
Poi, finalmente, è tornato a splendere il sole. Dentro e fuori di me. Per ora timidamente, c'è ancora qualche giornata di pioggia. Ma è solo questione di tempo: l'estate è praticamente alle porte.
Questa crisi mi è servita molto. Oserei dire che l'ho amata ed apprezzata. E, permettetemi, mi voglio dare una pacca sulla spalla perché mi sento di averla affrontata nel modo giusto: ho cominciato a concentrarmi sulle cose positive (anche se, in questi momenti, ti sembra che ce ne siano troppo poche). Ed ho ricominciato a valutare tutte le cose preziose che mi sono state donate grazie all'espatrio.
Facciamo un passo indietro. Ero una contabile frustrata: più di nove ore in ufficio, se contiamo anche la pausa pranzo, in un ambiente abitato da serpi e rettili (e qualche raro angelo), due ore al giorno di spostamenti in treno, un lavoro che tutto sommato non mi è mai piaciuto. Ho rasentato momenti di genuina infelicità, ma per un motivo o per l'altro non era mai il momento di lasciare quel lavoro tanto odiato.
Poi il momento è arrivato (per caso?) in concomitanza con la proposta del lavoro “cinese” per mio marito. Mai tempistica è stata migliore! Mi sono licenziata con un gran sorriso (ed ho avuto pure la soddisfazione di avere risposta positiva ad alcuni curriculum che nel frattempo avevo mandato, quando ancora non sapevo che mi sarei trasferita).
Il Papi Viaggiante era preoccupato:
“Ti troverai bene a vivere all'estero? Non sarà un problema per te vivere lontano dai tuoi luoghi?” chiedeva.
“Ma stai scherzando?!” replicavo io “Uno dei miei sogni di ragazza era viaggiare il mondo, i miei eroi erano i backpackers vagabondi che giravano l'Europa in inter rail! Il fatto di vivere un periodo all'estero non è altro che il sogno di una vita che si realizza!”
E devo dire che è stato così: Suzhou è una città piuttosto grande e ci sono tanti stranieri, ho avuto davvero modo di sfondare i muri della mia innata timidezza e conoscere gente di tutto il mondo. Il mio inglese è molto migliorato ed ora posso interagire senza problemi utilizzando quella lingua: fantastico!
Senza contare che non ero più costretta a sbattermi per ore nei treni sempre in ritardo, a vivere giornalmente a stretto contatto con persone demotivanti, in un ambiente che risucchiava ogni mia energia. Potevo dedicarmi a quello che più mi piaceva, come ad esempio scrivere.
Mi sono sentita rinascere! Mi sono sentita baciata dalla fortuna. Anche se, qualcuno dice, la fortuna e il caso non esistono: allora mi piace pensare che “l'occasione” del lavoro all'estero sia stata in realtà la conseguenza di tutta una piccola serie di azioni e di una predisposizione mentale adeguata.
Ecco quello che l'espatrio mi ha dato: la seconda occasione (la prima l'ho avuta da ragazzina, ma ero troppo giovane ed inesperta per rendermi conto della portata di ogni azione e di ogni scelta) di trovare la mia vera strada, a quarant'anni suonati. Non credo capiti a tutti. Ho cercato di sfruttarla, spero di riuscire ancora a sfruttarla fino in fondo. E ringrazio il cielo per avermi dato questa opportunità fantastica.

venerdì 13 marzo 2015

MA CHE BEL POSTO SINGAPORE!

Quest'anno, durante le vacanze del capodanno cinese, siamo scappati qualche giorno pure noi!
Abbiamo lasciato una Suzhou fredda e grigia e siamo atterrati in una Singapore piena di colori, dove il cielo era azzurro e gli alberi davvero verdi, dove si andava in giro in maglietta a maniche corte e dove... c'era il mare (e chi legge il mio blog, sa che, essendo triestina di nascita, il mare mi manca sempre tanto!).
Come non poteva deliziarmi un impatto simile? Difatti dopo appena cinque minuti ho iniziato a pensare che in un posto del genere mi piacerebbe davvero vivere.
Singapore è un mix di etnie, lingue ed atmosfere affascinante: vi si parla correntemente l'inglese (essendo stata colonia britannica per lungo tempo), ma anche il cinese ed il malese. Vi convivono la comunità cinese, malese e indiana, e un altro buon numero di stranieri che vengono qui per lavorare (tra cui anche molti americani ed europei).
La città è pulita, i trasporti funzionano, la legge colpisce tutti indistintamente ed è realmente severa (ti avvertono perfino in aereo che lo spaccio di droga viene punito con la pena di morte!), il fatto che tu sia straniero non ti salva da multe, carcere e... fustigazioni!
Oltre alla zona centrale, che come ogni megalopoli asiatica che si rispetti fa sfoggio dei suoi grattacieli di acciaio e specchi, ci sono moltissime zone con casette basse a due piani, molto suggestive.
Le parti più caratteristiche sono sicuramente Chinatown e Little India, il fulcro della vita delle due comunità. Tra negozietti tipici, musica di sottofondo e profumi di incenso indiano (o di cibo cinese!) meritano davvero una visita.

Decorazioni del capodanno cinese a Singapore
Singapore è un centro di divertimento e turismo: Sentosa, l'isola che si trova a sud, ospita gli Universal Studios e molte altre attrazioni. Ma quello che interessava maggiormente a noi erano le spiagge! Il bello di andare al mare in Asia è che molto probabilmente, durante le ore più calde, sparse in una spiaggia enorme ci saranno al massimo cinque o sei persone (come in Italia, eh?). 

Un pavone libero in spiaggia...
Ci siamo così goduti in santa pace la sabbia e il mare, i giochi sotto le palme ed una natura rigogliosa e selvaggia (compreso serpentazzo verde chiaro caduto da un albero a pochi centimetri dal Papi Viaggiante che, in barba a tutte le raccomandazioni sul comportamento da adottare vicino ai serpenti, ha fatto un balzo degno del miglior atleta di salto in lungo), con sullo sfondo le quasi cinquecento navi che ogni giorno sono ancorate al largo del porto.
È stata una vacanza che anche i le due piccole pesti hanno gradito: si sono divertiti sul bus “Hop-on” (quelli a due piani, aperti, che ti permettono di visitare tutta la città comodamente seduti), hanno apprezzato gli splendidi Gardens by the Bay (all'interno di una delle due enormi serre c'è perfino una cascata che simula il clima e l'ambiente della foresta tropicale), si sono emozionati (ed anche un po' impauriti) davanti agli animali dello zoo, soprattutto nella zona chiusa da un'ampia rete dove potevi passeggiare tra farfalle e pipistrelli giganti!
Hanno apprezzato molto anche la pioggia tropicale che ci ha colto di sorpresa mentre eravamo alla Tanjong beach.


Insomma, una vacanza che ci voleva proprio. Anche se, al nostro rientro, siamo stati accolti da questo:


e ammetto che l'umore ne ha risentito parecchio.

mercoledì 18 febbraio 2015

STORIE DI CAPODANNO CINESE


Meili vive in un'altra città da quando aveva tredici anni. Per tutti questi anni ha rivisto i suoi genitori e la sorella soltanto durante la settimana di ferie del capodanno cinese. I suoi genitori l'hanno spronata a crescere indipendente e sicura e Meili ce la sta mettendo tutta per avere successo nella vita: ha studiato, si è laureata, lavora e cerca di migliorare. Si sente autonoma e bastevole a sé stessa, anche se qualche volta ritiene di essere un po' troppo fredda e solitaria. Seppur molto bella, è determinata e sicura di sé e questo spaventa un po' i ragazzi, che non osano corteggiarla. Ogni anno, quando torna a casa dai suoi, deve subire il fuoco di fila delle domande, perfino i vicini di casa mettono il naso nei suoi affari e tutti le chiedono, sempre, la stessa fatidica domanda:
“Quando ci porti a casa un fidanzato? Quando ti sposi?”
Quest'anno la sorellina di Meili le ha scritto su Wechat: “Perché non ti affitti un fidanzato?”
Meili ha riso e le ha risposto “Mai e poi mai!”, ma quella sera stessa è andata su Taobao, il grande sito di vendite online, e ha digitato “fidanzato in affitto”. Ha letto divertita le descrizioni dei ragazzi che si offrono per fingersi boyfriend, le tariffe giornaliere ed orarie e le caratteristiche salienti: c'è chi si dice amante di gatti e cani, chi si professa gentile ed educato “Il tipico ragazzo che piace ai genitori”.
Meili ha sospirato. All'apparenza sembra così forte, ma alle volte si sente davvero sola. Il matrimonio, però, spesso ha poco a che vedere con l'amore: Meili non vuole fare la fine di alcune sue compagne di scuola, che vivono in casa con la suocera, aspettano già un bimbo e hanno dovuto lasciare il lavoro. Meili ha altri progetti.  Potrebbe chiedere a Jack, l'amico americano della sua compagna di stanza, di fingersi il suo fidanzato? I suoi non accetterebbero mai un genero straniero e, spaventati dall'eventualità di un matrimonio misto, non le farebbero più alcuna pressione. Ma se la sente Meili di mentire ai suoi genitori, che tanto hanno fatto per lei in questi anni?
Farà come ha sempre fatto: risponderà con un sorriso alle domande, si chiuderà nel mutismo sperando che si stufino in fretta di farle notare che  ha ventiquattro anni e non è ancora fidanzata.

Jiang non vede l'ora di tornare nel suo villaggio natale, nelle campagne, dove sua figlia vive coi nonni. Qualche settimana fa sua madre lo ha chiamato al telefono riferendogli che, a scuola, la maestra di XiaoLi l'ha chiamata “stupida” davanti a tutta la classe. Jiang si chiede come può un insegnante dire una cosa simile ad una bambina di appena dieci anni. Non vede l'ora di tornare ed abbracciarla, dirle che non è vero che è stupida. Farle sentire che suo padre, anche se lavora in una città lontana e torna da lei solo un paio di volte all'anno, le è vicino e la sostiene. E che è immensamente orgoglioso di lei.

Xiaoming è eccitato: domani sera sarà seduto sul treno che, attraversando la Cina per otto lunghe ore, lo porterà alla sua città natale! Quest'anno ha una grossa sorpresa per i genitori: si sente adulto, ormai, sono tre anni che lavora e ce la sta mettendo tutta per migliorare la sua posizione, ha quindi preparato per i suoi cari una grossa hong bao, la busta rossa, orgoglioso che stavolta sia lui a donare dei soldi a loro e non più viceversa.
Davanti agli occhi gli scorrono le immagini dei capodanni della sua infanzia: com'era eccitato allora! Dolci, vestiti nuovi e hong bao da tutti i più vecchi della famiglia! Ora è ugualmente felice perché sa che, finalmente, dimostrerà il suo senso di responsabilità nei confronti dei suoi cari.



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