Nella scuola dei miei figli vanno moltissimi ragazzini coreani. Lo sapevo già, ma quando, alla fermata dello scuolabus, ho visto che erano praticamente tutti di quella nazionalità (e che probabilmente le mamme si conoscevano già tutte tra di loro) ne ho avuto la certezza.
Ecco perché quindi, quando dalla scuola sono iniziate ad arrivare le comunicazioni delle varie riunioni per i genitori, ho iniziato a trovare con me stessa milioni di scuse per non andarci: “La scuola è lontana, mi va via tutta la mattinata, chissà se sono realmente importanti, ho mille cose da fare...”. Baggianate. La verità era che sapevo benissimo mi sarei trovata in minoranza, in mezzo a mamme di una stessa nazionalità e che parlano la stessa, incomprensibile (per me) lingua e che formano un gruppetto già cementato dalla conoscenza reciproca. Una nuova sfida, insomma. Un nuovo balzo fuori dalla mia rassicurante zona di comfort. Ormai mi conosco abbastanza bene e smaschero in fretta questi meccanismi di difesa, quindi mi sono presa una volta in più a calci nel didietro e ho deciso di andare ad una di queste benedette riunioni.
La scuola ha organizzato un pullman che si fermava in alcuni compound, partenza ore nove da sotto casa. Sono arrivata in anticipo ed ho visto un manipolo di signore che aspettavano “devono essere loro” ho pensato “che faccio, mi avvicino o no?” Una di loro mi ha sorriso e mi ha fatto un gesto e così sono andata. Qualche saluto, poi hanno ricominciato a conversare tra loro in coreano. È arrivato il bus, siamo salite e loro si sono sedute tutte insieme, immerse in una fitta conversazione. Io mi sono accomodata su uno dei sedili davanti, da sola.
“Ecco!” ho pensato “tutti questi anni a studiare il cinese e adesso mi ritrovo immersa in chiacchiere in una nuova lingua e non capisco una sola parola di quello che si dicono! Almeno se mi ritrovo in un gruppo di mamme cinesi che parlano tra loro il senso generale del discorso riesco a capirlo... sta a vedere che ora mi tocca iniziare a studiare il coreano?”
Alla fermata dopo è salito un nuovo gruppetto ed una signora si è seduta accanto a me, sorridendomi timidamente. Incredibile! Ho cercato di capire se i posti erano finiti o se la sua era stata una scelta deliberata, ho cercato di sbirciare lo schermo del telefono sul quale si è messa a chattare per vedere se scriveva in caratteri cinesi o in alfabeto coreano.
Quando ha finito di scrivere ed ha messo via il cellulare, mi sono girata verso di lei e le ho chiesto in inglese:
“Sei coreana?”
“No, sono cinese!”
Sospiro di sollievo! Un'altra “straniera” come me! Ci siamo messe a chiacchierare ed ho scoperto che si sono trasferiti da poco da Pechino, che suo marito è italiano e che, in Italia, vivono nel nostro stesso comune! Accipicchia se è piccolo il mondo!
A scuola ho potuto rendermi conto di quanto gli iscritti occidentali siano una minoranza: alla riunione ero io l'unica mamma non asiatica. È un trend in crescita, mi hanno detto, anche in altre scuole internazionali: evidentemente gli stranieri provenienti dai paesi dell'ovest a Suzhou sono sempre di meno?
In ogni caso, al rientro, ho avuto modo di scambiare qualche parola anche con altre mamme, di iniziare a conoscere qualche faccia. È stata un'esperienza positiva, indubbiamente, ed ora che ho rotto il ghiaccio non mi sento più così intimorita. Magari alla fermata del bus mi ci scappa anche qualche chiacchiera (non ancora in coreano!).
P.s. La parola nell'immagine vuol dire “buongiorno”